Le Sante Mirofore
La
donna e la Parola di Pavel Evdokimov
Da “Catéchèse” n. 16 (1964) Centre National de l’Enseignement
Religieux.
La presente
riflessione si ispira a nozioni antropologiche desunte dalla Bibbia, al
pensiero patristico e alla spiritualità, detta orientale, della Chiesa
Ortodossa. Secondo l’immagine luminosa di S. Paolo, la Chiesa, “Corpo intero, ben coerente e fortemente
unito da tutte le giunture che fanno comunicare le sue parti, trae il suo
accrescimento secondo la forza data a ciascuna di esse” (Ef 4, 16). Il
contesto di questo versetto parla chiaramente dei carismi, dei doni che
ciascuno riceve per essere a servizio di tutta la Chiesa, nella quale ciascuno
è complementare agli altri. La realtà carismatica di ogni persona è dunque essenziale
per il nostro tema.
Nella storia,
la rottura dell’equilibrio delle componenti umane dà facilmente luogo al
formularsi di false questioni. Così è della “questione
femminile”: quando l’uomo la pone senza porre la propria, si isola in se
stesso, si separa dalle sorgenti limpide della vita, denuncia il suo artificio
e si dimostra irrealista.
In un mondo
essenzialmente maschilista, in cui tutto è posto sotto il segno del
patriarcato, l’uomo, armato della sua ragione, razionalizza l’essere e l’esistenza,
perde i suoi collegamenti cosmici con il cielo e con la natura, e anche con la
donna, in quanto mistero complementare del proprio essere. Eliminando la
metafisica e la mistica che lo mettono a disagio scivolando verso astrazioni
cerebrali, l’uomo vede chiudersi davanti a lui la dimensione della profondità,
quella dello Spirito Santo. Egli traccia le grandi strade della civiltà, ben
calcolate, dove il posto della donna deve essere quello di un essere inferiore.
Per istinto di
autodifesa egocentrica, l’uomo incatena la donna come una potenza malefica,
perenne minaccia alla sua libertà. Questa resterà sottomessa al potere supremo
del capo, all’autorità indiscutibile dell’uomo. Il principio solare, la
chiarezza, è l’uomo. “I1 principio buono
crea l’ordine, la luce, l’uomo; il principio cattivo crea il caos, le tenebre,
la donna”, enuncia una sentenza pitagorica.
L’uomo cerca
di affermarsi superando ciò che lo limita. Ora, ogni donna è un limite, perché
è “altra”, e pone l’alterità; l’uomo
vede in essa una prigione che restringe i suoi orizzonti e limita il suo
spirito.
La coscienza
collettiva esprime miti menzogneri, alle donne cristiane di oggi si applicano
ancora prescrizioni rituali stabilite all’epoca rabbinica, nella quale
risuonava la preghiera: “Benedetto sii
tu, Adonai, che non mi hai creato donna”. Il complesso di Adamo - quanto “maschile!” - si rifugia in quelle
parole: “La donna mi ha dato il frutto
dell’albero...”. La rivoluzione operata dall’Evangelo esigerà un tempo
assai lungo; gli stessi discepoli del Signore restano sorpresi del semplice
fatto che Cristo conversa con una donna (Gv 4, 27).
Bergamo, Basilica di S. Maria Maggiore,
il volto di Eva su un capitello del portico
1. I carismi della donna
La donna ha la
sua maniera d’essere, un suo modo di esistenza, il dono di tessere il proprio
essere con la sua relazione particolare con Dio, con gli altri, con se stessa.
Nonostante le deformazioni storiche di fondo di sé il mistero del suo essere e
dei suoi carismi: ciò che S. Paolo designa con il simbolo eternamente ricco del
“velo” (1 Cor. 11), segno evidente
del sacro. Al contrario, la grande Prostituta di Babilonia (Ap. 17) profana e
degrada la propria femminilità in quanto essenza religiosa del femminile; essa
strappa il suo “velo”, si denuda, si
disincarna del mistero femminile, del fiat
pronunciato alla sua eterna maternità. Ogni donna deve decifrare questo mistero
per leggervi il suo destino, la sua vocazione, i suoi carismi.
Il racconto
biblico della prima monade umana Adamo-Eva mostra in essa l’archetipo originale
della consustanzialità dei principi complementari. La caduta li polarizza, e da
allora o sono dei contrari in lotta, o delle alterità che si accettano e si
completano, per farne una “nuova
creatura” in Cristo.
L’uomo supera
il proprio essere, è più esteriorizzato; il suo carisma di espansione dirige il
suo sguardo al di là di sé: egli riempie il mondo delle sue energie creatrici,
si impone, padrone e conquistatore, ingegnere e costruttore. Riceve accanto e
sé la donna, suo aiuto. Questa è insieme sua fidanzata, sua sposa e sua madre.
Più
interiorizzata, la donna resta agevolmente nei limiti del suo essere, di cui
riempie il mondo con la sua presenza irradiante. “Gloria dell’uomo” (1 Cor 11, 7), nella sua purezza luminosa è come
uno specchio che riflette il volto dell’incontro tra Dio e l’uomo. Lo rivela a
se stesso, e con ciò lo corregge. Così aiuta l’uomo a comprendersi e ad attuare
il senso del proprio essere: lo completa decifrando il suo destino, perché è
con l’aiuto della donna che l’uomo diventa più facilmente ciò che è.
La parola di san
Pietro (1 Pt. 3, 4) si rivolge a ogni donna e contiene tutto un evangelo del
femminile sulla sua maternità spirituale. Questo testo definisce con esattezza
il suo carisma fondamentale: la generazione dell’uomo nascosto nel suo cuore, homo cordis absconditus.
L’uomo è più
incline ad interessarsi solo della propria causa; al contrario l’istinto
materno della donna come nelle nozze di Cana (Gv 2, 1 e segg.) scopre
immediatamente la sete dello spirito anche degli uomini e trova la sorgente
eucaristica per estinguerla. Il rapporto sociologico madre-figlio fa che la
donna, Eva-fonte di vita, vigili su
tutto l’essere, protegga la vita del mondo. Il suo carisma della “maternità” interiorizzata e universale
porta ogni donna verso l’affamato e il bisognoso, e precisa mirabilmente l’essenza
femminile; vergine o sposa, ogni donna è madre in aeternum: è il carattere sacramentale iscritto nel suo stesso
essere. Le componenti della sua anima la predispongono a “covare” tutto ciò che trova sul suo cammino, a scoprire nell’essere
più virile e più forte un fanciullo debole e senza difesa.
Se si
definisce l’amore maschile: “amare è
avere bisogno”, per la donna “amare è
soddisfare un bisogno”, prevenirlo e precorrerlo. “Gesù vedendo sua madre e vicino a lei il discepolo che egli amava,
disse alla madre: Donna ecco tuo figlio”. Parola fondamentale che fa della
Vergine Maria, figura della Chiesa-Madre e di ogni donna, un essere ecclesiale:
l’eterno-virgineo, l’eterno-femminino che ne deriva, e l’eterno-materno,
archetipo della Magna Mater.
Rothschild Canticles (f. 64r) Maria Mulier amicta sole
2. Il valore religioso del femminile
Conquistatore,
avventuriero, costruttore, l’uomo non è eterno nella sua essenza. Un antico
testo liturgico proietta sulla maternità della Vergine la luce della paternità
divina: “Tu hai generato il Figlio senza
padre, quel Figlio che il Padre prima dei secoli ha generato senza madre”.
La maternità della Vergine si pone così come figura umana della Paternità
divina.
Questo ordine
spiega perché il principio religioso di dipendenza dall’aldilà, di recettività,
di comunione, si esprime più immediatamente per mezzo della donna; la
sensibilità particolare allo spirituale puro risiede maggiormente nell’anima che nell’animus: è l’anima femminile che s’avvicina maggiormente alle
sorgenti, alle origini, alla genesi. La Bibbia fa della donna l’organo della
recettività spirituale della natura umana, infatti, la promessa della salvezza
è stata fatta alla donna, la donna riceve l’Annunciazione, a lei il Risorto
appare per prima, la donna “vestita di
sole” raffigura la Chiesa e la Città celeste nell’Apocalisse. Allo stesso
modo, Dio sceglie l’immagine della sposa e della fidanzata per esprimere il suo
amore verso l’uomo, e la natura nuziale della comunione. Infine l’evento più
importante: l’Incarnazione si compie nell’essere femminile della Vergine, è lei
a dare al Verbo la sua carne e il suo sangue.
Alla Paternità
divina come specifico dell’essere di Dio, risponde direttamente la maternità
femminile come specificità religiosa della natura umana, la sua capacità
recettiva del divino. Il fine della vita cristiana è di fare di ogni essere
umano una madre, un essere predestinato al mistero della nascita: “affinché Cristo sia formato in voi”
(Gal 4, 19).
La
santificazione è l’azione dello Spirito che opera la nascita miracolosa di Gesù
nel profondo dell’anima. Perciò la Natività simboleggia ed esprime il carisma
di ogni donna, di generare Dio nelle anime devastate: “Il Verbo nasce sempre di nuovo nei cuori degli uomini”, dice la Lettera a Diogneto. Per San Massimo, il
mistico è colui nel quale si manifesta la nascita del Signore. Quando San Paolo
desidera esprimere la sua paternità spirituale, usa l’immagine della maternità:
“Io provo i dolori del parto”.
Bergamo, Basilica di S. Maria Maggiore, Annunciazione
particolare dell’Albero della Vita
3. L’essere della donna e la sua
vocazione
La Bibbia
indica nella donna il punto predestinato dell’incontro tra Dio e l’uomo. Se l’uomo
partecipa all’Incarnazione con il suo silenzio, nella persona di San Giuseppe,
è la donna invece a pronunciare il fiat
a nome di tutti. Al fiat creativo del
Padre risponde l’umile fiat della “serva
del Signore”. Cristo non avrebbe potuto prendere carne e sangue umani se l’Umanità-Maria
non glieli avesse dati liberamente, come dono, pura offerta. La Vergine è il
punto di incontro, il luogo di convergenza dei due fiat. Figura della Chiesa, la Vergine personalizza il suo principio
di protezione materna, orante; è la preghiera della Chiesa, quella che
intercede.
In greco
castità significa integrità e integrazione, la potenza stessa di unire. Un’antica
preghiera liturgica chiede alla Purissima Madre di Dio: “Con il tuo amore, lega la mia anima” dall’aggregato di stati
psichici, fa uscire l’unità, l’anima. Questa integrazione è la sola capace di
arrestare l’opera di demolizione a cui si abbandona il genio maschile moderno.
In verità, la salvezza della civiltà dipende dall’“eterno-materno”.
Si coglie la
sua potenza salvatrice se si comprende che Eva non fu tentata in quanto “sesso debole”; al contrario, è stata
sedotta perché è lei che rappresenta il principio dell’integrazione religiosa
della natura umana; colpita al cuore, questa soccombe immediatamente: Adamo la
segue, docilmente (“la donna mi ha
offerto il frutto”), senza offrire alcuna resistenza, senza formulare
domanda.
Lasciato a se
stesso, l’uomo si smarrisce nell’infinito delle sue astrazioni, in tecniche
perfezionate di avvilimento; degradato, diventa degradante e crea un mondo che
risponde ai suoi postulati disumanizzati, l’uomo è in agonia.
L’uomo si
prolunga nel mondo con l’utensile; la donna lo fa con il dono di sé. Nel suo
essere stesso essa è legata ai ritmi della natura. Se la caratteristica dell’uomo
è agire, quella della donna è essere: ed è lo stato religioso per
eccellenza. L’uomo crea la scienza, la filosofia, l’arte, ma altera tutto con
una tremenda obbiettivazione della “verità
organizzata”.
La donna è l’opposto
di ogni obbiettivazione, il suo forte non è la creazione ma la generazione. Nel
suo essere stesso, essa è il criterio che corregge ogni astrazione per
ricollocare al centro i valori, per fare in modo che si manifesti correttamente
il verbo maschile. Istintivamente la donna difenderà sempre il primato dell’essere
sulla teoria, dell’operativo sullo speculativo, dell’intuitivo sul discorsivo.
Essa possiede il dono di penetrare immediatamente nell’esistenza dell’altro, la
facoltà innata di cogliere l’imponderabile, di decifrare il destino. Proteggere
il mondo degli uomini in qualità di madre, e purificarlo in qualità di vergine,
dando a questo mondo un’anima, la sua anima: tale è la vocazione di ogni donna,
religiosa, nubile o sposa.
L’uomo ex-statico è nell’estensione di se stesso,
nella proiezione del suo genio al di fuori, per dominare il mondo; la donna in-statica è rivolta verso il proprio
essere, verso l’essere. Il femminile si esercita a livello della struttura
ontologica; non è il verbo ma l’esse,
il grembo della creatura. È questa la manifestazione della santità, quella
santità dell’essere che è insopportabile ai demoni; e non mediante gli atti ma
nella sua purità-santità la donna ferisce il dragone alla testa.
In Eraclito, “la guerra è il padre di tutte le cose; al
contrario, l’armonia, l’accordo, è la madre di ogni cosa”. Il padre-guerra
è simboleggiato dall’arco, e la madre-sinfonia dalla cetra. Ora la cetra, si
potrebbe dire, è l’arco sublimato, l’arco dalle molte corde; anziché la morte,
essa canta la vita. Così il maschile guerriero, omicida, può essere accordato
dal femminile e cambiato in vita, cultura, culto, liturgia dossologica.
Catacombe di san Callisto, affresco della Fractio panis
4. I simboli e la storia
La Didaskalia lega ontologicamente il
femminile al mistero dello Spirito Santo: “Il
diacono ha il posto di Cristo, e voi lo amerete; onorerete le diaconesse al
posto dello Spirito Santo”. Per questo nel simbolismo dell’assemblea
liturgica, la donna è chiamata “l’altare”
e rappresenta la preghiera. Immagine dell’anima in adorazione, essa è l’essere
umano divenuto preghiera. Nell’affresco delle Catacombe di S. Callisto, l’uomo
stende la sua mano sul pane dell’offerta, ed è il sacrificatore, il vescovo,
colui che agisce, che celebra. Dietro a lui sta in piedi l’orante, la donna in
preghiera, offerta pura e dono totale. Nel suo carisma di protezione essa eleva
la vita, il mandato di insegnamento durante gli uffici gli uomini verso Dio.
Essa è sotto il segno dello Spirito che aleggia, “cova”, secondo il termine ebraico del racconto della Creazione,
segno del Paraclito, Avvocato e Consolatore.
Il sacerdozio
di ordine, l’episcopato e il presbiterato, è una funzione maschile di
testimonio: il vescovo attesta la validità salvatrice dei sacramenti e possiede
il potere di celebrarli; ha il carisma di vigilare sulla purezza del deposito
della fede ed esercita il potere pastorale.
Il ministero
della donna appartiene al sacerdozio regale femminile, non è nell’attribuzione
di funzioni ma nella sua natura. Il ministero d’ordine (il sacerdozio) non si
trova nei suoi carismi: sarebbe tradire il suo essere; tuttavia la sua
vocazione personalizzata nella Vergine Maria non è inferiore: è semplicemente
diversa, e qui noi tocchiamo da vicino il nostro tema.
La
spiritualità monastica è assai rivelatrice su questo punto: se su altri piani
apparentemente la donna è un essere inferiore all’uomo, al contrario, sul piano
carismatico l’uguaglianza tra uomini e donne è perfetta. Clemente Alessandrino
nota: “La virtù dell’uomo e della donna è
una medesima virtù, una stessa natura di condotta”[1]. Teodoreto osserva
che certe donne “hanno lottato non meno,
se non di più degli uomini…; con una natura più debole hanno mostrato la stessa
risolutezza degli uomini”[2].
Il loro forte
è la “divina carità”, e una grazia
particolare per appassionarsi di Cristo. Nessuno le ritiene inferiori: sono
giudicate capaci di dare la direzione spirituale alle religiose, alle stesse
condizioni degli uomini. Una donna carismatica, theophotistos, illuminata da Dio, riceve il titolo di ammas, madre spirituale[3]. In
genere sono le madri del loro monastero, come Pacomio lo era del suo. La gente
di fuori veniva a trovarle e a chiedere loro consigli (Santa Eufrasia, Santa
Irene).
L’abate Isaia
compone un libro di sentenze delle Madri, il Materikon, simile al Paterikon,
sentenze dei Padri. All’infuori del potere sacramentale, e di tenere le omelie
nelle chiese durante gli uffici (riservato all’episcopato e al sacerdozio d’ordine),
le Madri avevano esattamente le stesse prerogative e doveri dei Padri presso i
monaci. Esse non sono le madri delle Chiese, prerogativa esclusiva dei Padri,
dei Vescovi e dei Dottori, ma sono le madri spirituali e partecipano alla
propagazione della dottrina. I testi liturgici celebrano come “uguali agli apostoli” quelle che
predicano l’Evangelo ai pagani, li illuminano con l’insegnamento del
catechismo, partecipano attivamente all’evangelizzazione (Santa Elena, Santa
Nino).
Si può
ricordare l’istituzione delle diaconesse. La Didaskalia (III, 8) attribuisce loro il potere di imporre le mani
ai malati. Le Costituzioni apostoliche
(VIII, 19, 20) parlano dell’ordinazione con imposizione delle mani e
invocazione dello Spirito Santo: ciò che designa un ordine minore. Il Testamento di nostro Signore (I, 40,
43) precisa i loro compiti e menziona quello di “istruire le donne catecumene”; ugualmente, secondo le Costituzioni apostoliche (II, 26), le
diaconesse “insegnano alle donne gli
elementi della dottrina”. Nella Chiesa nestoriana esse leggono gli Evangeli
nelle assemblee di donne. Su antiche pietre tombali si legge: Vidua sedit: rimasta vedova, catechizzò ed esortò, sedendo sulla cathedra.
Tra quelle che
hanno servito gloriosamente la Chiesa, troviamo Olimpiade, discepola e amica di
S. Giovanni Crisostomo, Procula e Pentadia, Anastasia, corrispondente di Severo
di Antiochia, Macrina, sorella di S. Basilio, Lampadia sua amica, Teosobia,
moglie di S. Gregorio Nisseno, e tante altre, conosciute e sconosciute.
L’apparizione del Risorto alla santa isoapostola Maria Maddalena
5. La donna e la parola, oggi
La coscienza
cristiana si evolve. Se al tempo della letteratura rabbinica, un certo dottore
in Israele dichiarava preferibile bruciare le parole della Legge piuttosto che
affidarle a donne, ancora oggi alcuni ripetono il detto di S. Paolo: “Mulieres in ecclesiis taceant”.
Il racconto di
Marta e Maria mostra che l’Evangelo eleva la donna a quel vertice spirituale in
cui si apre l’accesso alla “sola cosa
necessaria”. San Paolo, proclamando che “in
Cristo non c’è né uomo né donna” ispira la pratica della Chiesa, ed egli
stesso associa parecchie donne al proprio ministero apostolico. Basta ricordare
i nomi celebri di Febe e di Priscilla[4], che
hanno esercitato un vero apostolato.
Altre donne
furono ripiene di Spirito Santo e profetavano (At 21, 9). Se San Paolo,
sollecito dell’ordine, regola le condizioni e in certe circostanze impedisce
alle donne di parlare, resta la grande verità: “Non estinguete lo Spirito, non disprezzate le profezie” (1 Ts 5,
19). Accanto a 1 Cor 14, un altro passo della medesima lettera (11, 3-16)
ammette la legittimità della profezia e della parola da parte della donna, allo
stesso titolo che da parte dell’uomo.
C’era la
parola che turbava l’ordine e quella che era dono di profezia. Certo, il mandato
di insegnamento durante gli uffici è compito dell’Episcopato. La donna è
predestinata dai suoi carismi ad uffici che tengono conto della sua natura
particolare e del sacerdozio dei laici. Nell’apostolato laico, tutti e due, l’uomo
e la donna, occupano ugualmente, ciascuno nella sua maniera propria, “la prima linea” nel combattimento per
il regno di Dio nel mondo. Ed è anzitutto il servizio della fede mediante la
parola e la testimonianza vivente. Il primo compito di insegnamento è nella
famiglia e nella scuola; ma la donna ha pure una funzione kerigmatica nella parrocchia, nel lavoro dei catechisti laici. È
ancora lei, forse con il silenzio orante più ancora che con la parola, a
partecipare alla funzione liturgica della comunione dei Santi. “Mai nel corso della storia, diceva Pio
XII, gli avvenimenti hanno richiesto
dalla donna tanto eroismo quanto ai nostri giorni”.
“Vi sono diversità di carismi..., di
ministeri..., di operazioni... Tutto è opera di un solo medesimo Spirito che
distribuisce i suoi doni a ciascuno in particolare, come egli vuole”, dice
San Paolo (l Cor 12, 4-5). Lo stato coniugale, o di celibato, o religioso,
rappresenta diverse forme di vocazioni personalissime della diakonia. L’immagine originale della
pura essenza femminile toglie di mezzo le frontiere empiriche della natura e fa
apparire la grazia della “madre
spirituale” e della “diaconessa”.
Alla Russia
del XX secolo è stato dato di passare attraverso il baratro di un destino
storico unico; questa esperienza è ricolma di un senso profetico per quelli che
sanno leggerla nel libro del tempo. I grandi spirituali, gli startzy, hanno manifestato un interesse
tutto speciale verso la diaconia della donna. Così gli startzy Macario e Ambrogio di Optina, seguendo l’esempio profetico
di San Serafino di Sarov, si sono consacrati alla missione femminile, alla
formazione apostolica della donna, e ciò testimonia la loro sorprendente
chiaroveggenza.
La donna ha
una percezione intuitiva, dal suo stesso grembo, dei valori dello Spirito: è
dotata di senso religioso; “l’anima è
naturalmente cristiana” è detto anzitutto delle donne. I marxisti l’hanno
avvertito perfettamente. L’emancipazione delle donne e l’uguaglianza dei sessi
sono in primo piano nelle loro preoccupazioni. La virilizzazione della donna
tende a modificare il suo tipo antropologico, a tenderla perfino nella sua “psiche” identica all’uomo.
Questo
progetto di livellamento nasconde una lotta fra le più violente contro la legge
di Dio e mira all’annientamento dello stato carismatico femminile. Ora, la
testimonianza è oggi unanime: la fede nella Russia sovietica è conservata dalla
donna russa; e tutti sono meravigliati per la parte della donna nella
trasmissione della fede. Il rinnovamento religioso e la continuità della
tradizione sono dovute alla sposa e alla madre. La donna, la ragazza russa, in
pieno movimento di socializzazione, aspirano il più spesso e in una maniera
sorprendente a interiorizzare e a vivere la verità che esse leggono sulle icone
della Theotokos. La loro femminilità
discreta sembra ispirarsi più alle “Vergini
della tenerezza” che all’ideale essenzialmente virile del regime. È la
donna russa, con i suoi carismi, che, senza violenza, conserva i valori eterni,
e rifà dal di dentro la Russia cristiana.
Dopo aver
formulato il fiat, è ancora la donna
predestinata a dire: Non, non sic futurum
esse, non possumus. Non senza motivo i grandi spirituali hanno prestato un’attenzione
unanime, illuminata di speranza, all’approfondimento del ministero femminile
carismatico.
Dal cuore
della donna scaturisce spontaneamente, istintivamente, la resistenza
invincibile al materialismo e a tutti gli elementi demoniaci della
decomposizione della civiltà moderna. La salvezza del mondo non verrà che dalla
santità; ora, questa è più interiore alla donna nelle condizioni della vita
moderna.
Secondo gli
spirituali, il silenzio possiede un valore immenso. Il silenzio attivo è
popolato di presenze: “Chi sa ascoltare
il Verbo, sa ascoltare il silenzio”. In un certo senso, anche la liturgia è
il silenzio dello spirito che ascolta cantando, e questo silenzio è parte
integrale dell’ufficio, come lo sono i silenzi di una sinfonia. Così la Vergine
“conservava le parole del Figlio nel suo
cuore” (Lc 2, 51).
Ogni donna ha
una intimità innata, quasi una complicità con la tradizione, la continuità
della vita. “Le parole conservate nel suo
cuore” sono quelle che la donna può annunciare, come “Maria Maddalena andò ad annunciare ai discepoli” ciò che aveva
visto ed ascoltato; come le donne mirofore “annunciarono
tutte queste cose agli undici e a tutti gli altri”; come le donne chiamate
dalla liturgia “uguali agli apostoli”.
La donna ha questo ministero carismatico di testimoniare e di essere serva
della Parola, alla sua maniera, alla maniera dello Spirito Santo che manifesta,
rivela il Verbo e si nasconde dietro la figura della colomba e della lingua di
fuoco pentecostale.
Il “velo”, segno del sacro e del mistero,
di cui parla San Paolo, passa, nel tempo pre-apocalittico, all’immagine della
donna vestita di sole, della donna rivestita del Verbo. Con tutto il suo essere
essa lo predica; con una irradiazione ontologica, lo genera; dalle profondità
del suo grembo, del suo cuore, essa porge la Parola al mondo.
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