domenica 17 febbraio 2013

L’incontro tra Gesù e Zaccheo di Roberto Pagani

 

L’incontro tra Gesù e Zaccheo

 
di Roberto Pagani

 

In preparazione alla Grande Quaresima, la Chiesa bizantina ne richiama l’approssimarsi un mese abbondante prima del suo inizio.

Il diciannovesimo capitolo del vangelo di Luca inizia con l’incontro tra Gesù e Zaccheo.

Entrato in Gerico, attraversava la città. Ed ecco un uomo di nome Zaccheo, capo dei pubblicani e ricco, cercava di vedere quale fosse Gesù, ma non gli riusciva a causa della folla, poiché era piccolo di statura. Allora corse avanti e, per poterlo vedere, salì su un sicomoro, poiché doveva passare di là. Quando giunse sul luogo, Gesù alzò lo sguardo e gli disse: “Zaccheo, scendi subito, perché oggi devo fermarmi a casa tua”. In fretta scese e lo accolse pieno di gioia. Vedendo ciò, tutti mormoravano: “È andato ad alloggiare da un peccatore!”. Ma Zaccheo, alzatosi, disse al Signore: “Ecco, Signore, io do la metà dei miei beni ai poveri; e se ho frodato qualcuno, restituisco quattro volte tanto”. Gesù gli rispose: “Oggi la salvezza è entrata in questa casa, perché anch’egli è figlio di Abramo; il Figlio dell’uomo infatti è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto”. [Lc 19,1-10]

Pochi versetti prima, ma vale la pena ricordare che la suddivisione in versetti e capitoli è avvenuta nel medioevo, Gesù aveva detto: “Ecco, noi andiamo a Gerusalemme, e tutto ciò che è stato scritto dai profeti sul Figlio dell’uomo si compirà” (Lc 18, 31): è l’inizio della salita Gerusalemme, in cui Gesù sta per entrare in quanto Messia per celebrarvi la Cena, istruire ulteriormente i suoi discepoli, consegnarsi volontariamente ai suoi persecutori per trionfare sulla morte.

Così, in preparazione alla Grande Quaresima, la Chiesa bizantina ne richiama l’approssimarsi un mese abbondante prima del suo inizio. Questo periodo, che fino alla riforma liturgica seguita al Vaticano II ha avuto un equivalente anche nella Chiesa latina, è chiamato pre-quaresima e dura quattro settimane. È una prassi liturgica attestata in manoscritti palestinesi e costantinopolitani risalenti all’XI° secolo: mentre possiamo dire che le quattro domeniche di pre-quaresima (Fariseo e Pubblicano, Figliol prodigo, Carnevale e Latticini) sono celebrate da almeno un millennio, non sappiamo quando è stata introdotta, la domenica precedente l’inizio della pre-quaresima, la lettura del vangelo di Zaccheo. Un manoscritto del X° secolo del Typikon della Grande Chiesa (Santa Sofia di Costantinopoli), pubblicato dal gesuita Juan Mateos nella metà del secolo scorso, riporta l’episodio di Zaccheo la trentunesima domenica dopo Pentecoste (il modo in cui nel rito bizantino si identifica il tempo ordinario), e non include la domenica in cui si legge la parabola del Fariseo e del Pubblicano tra le domeniche di pre-quaresima.

Anche in assenza di una ufficiatura specifica, vale ugualmente la pena soffermarsi su questa pericope perché quanto da essa ricavabile ci consente di definire il punto di partenza per tutto il cammino che ci condurrà alla Pasqua di Risurrezione: il desiderio!

Spinto dal desiderio, Zaccheo desidera vedere Gesù, ma è impedito da un motivo fisico, essendo piccolo di statura: ricorre quindi a un mezzo, fisico anch’esso ma non solo tale, per crescere, ed innalzarsi al di sopra della folla. Un mezzo fisico scelto per innalzarsi, per svincolarsi dalla folla esterna ma anche da quella interna (siamo ingombrati da tante cose che ci soffocano), aiuta a vedere Cristo.

Come è difficile per una persona capire che, accanto alle innumerevoli preoccupazioni della vita, ci debba essere spazio anche per ascoltare il nostro io più profondo, il nostro cuore. Ma ci avviciniamo al momento dell’anno in cui la Chiesa ci chiama a ricordare l’esistenza dell’uomo interiore, a renderci conto dell’orrore della nostra dimenticanza, del non senso in cui siamo immersi, dello spreco di quel poco tempo prezioso che ci è dato, della misera confusione in cui viviamo.

La Quaresima è il tempo della metànoia: essa viene generalmente tradotta con conversione, ma è un insieme di dinamiche quali la riflessione sulla propria imperfezione (peccato), la reazione positiva contraria ad essa (contrizione) e un rinnovamento etico (penitenza e cambiamento di mentalità). Tale metànoia sarà il tema dominante degli uffici che ci accompagneranno verso la Pasqua.

Zaccheo voleva vedere Gesù: lo voleva così tanto che questo desiderio attirò l’attenzione di Gesù. Il desiderio è l’inizio di tutto: là dove è il tuo tesoro, là c’è anche il tuo cuore (Mt 6, 21). Ogni cosa nella nostra vita inizia con il desiderio, dal momento che desideriamo ciò che amiamo, ciò che ci definisce. Sappiamo che Zaccheo amava il denaro, e per sua stessa ammissione sappiamo che non ha avuto scrupoli nel rubarne agli altri. Zaccheo era ricco e amava le ricchezze, ma dentro di sé scoprì un altro desiderio, voleva qualcosa d’altro, e questo desiderio divenne il perno di tutta la sua vita.

L’invito della Chiesa, del vangelo e di Cristo ci provoca a desiderare altro, a non accontentarci, a cercare dentro di noi ciò a cui teniamo di più. Desiderio: e tutto ritorna senza confini, nuovo, pieno di significato. Il piccolo uomo, basso di statura e con lo sguardo rivolto ai desideri terreni, cessa di essere piccolo. È il primo passo verso quella misteriosa casa che ogni essere umano, consapevolmente o meno, attende e desidera.

Racconta un apoftegma dei Padri del deserto: “Un uomo alla ricerca di Dio chiese a un cristiano: “Come posso trovare Dio?”. Il cristiano replicò: “Ora te lo mostro”. Lo portò sulla riva del mare e immerse la faccia dell’altro nell’acqua per tre volte. Poi gli chiese: “Cosa desideravi più di ogni altra cosa quando la tua faccia era nell’acqua?”. “L’aria”, replicò l’uomo che cercava Dio. “Quando desidererai Dio come hai desiderato l’aria, lo troverai”, disse il cristiano”.

Non fu la curiosità che fece salire Zaccheo sull’albero, ma il forte desiderio di trovare Dio in Gesù. Zaccheo era inquieto, e riempiva se stesso con la vita che conduceva. L’inquietudine è sempre stata uno dei sintomi della ricerca umana di Dio, come sant’Agostino conosceva bene: “Hai fatto il nostro cuore inquieto, finché non riposa in Te”.

La folla era un ostacolo per Zaccheo: stava tra lui e Gesù, e se fosse restato tra la folla non avrebbe mai potuto vedere Gesù. Zaccheo non era sull’albero solo fisicamente, ma anche moralmente: nella sua disonestà si era isolato da Dio e anche dagli uomini, che lo odiavano “cordialmente”. Gesù lo chiama dal basso, e lo invita a scendere, a ritornare nel mondo. Gesù lo guarda negli occhi: mai e poi mai Zaccheo pensava che sarebbe stato notato. Con ogni probabilità si aspettava di sentire un rimprovero, una condanna, invece si sente chiamare per nome. Colui che tiene nelle sue mani l’universo si preoccupa di parlare con una persona!

Zaccheo cerca di vedere chi è Gesù, e in risposta a questo suo sforzo di volontà, non solo vede, ma viene visto da Gesù. Il movimento processionale di Cristo che attraversa la città, e quello ascensionale del cercatore che tende verso la visione, si incontrano in un luogo preciso. Gesù distingue l’uomo dalla folla, lo riconosce, e lo chiama per nome. Il cercare ha come primo risultato l’identificazione dello stesso cercatore da parte di Dio che ne afferma l’essere in quanto persona.

Lo studioso ebraico Claude Montefiore (morto nel 1938) identificava la peculiarità del cristianesimo nei confronti del giudaismo proprio da questo aspetto: “Mentre le altre religioni descrivono l’uomo alla ricerca di Dio, il cristianesimo annuncia un Dio che cerca l’uomo. Gli ebrei credono che Dio è un Dio di amore e di perdono, e che accoglie liberamente un peccatore pentito, ma Gesù ha insegnato che Dio non aspetta il pentimento del peccatore, va a cercarlo per chiamarlo a sé”.





“Oggi devo venire a casa tua!”. Gli abitanti di Gerico erano sconcertati e mormoravano: un fariseo non si sarebbe mai sognato di entrare in casa di una persona come quella, tanto meno di mangiare con lui. I farisei, per disprezzare Gesù, lo ridicolizzavano chiamandolo amico dei pubblicani e dei peccatori. Fortunatamente, per noi queste parole sono quanto di più confortante possiamo ascoltare. “Non sono venuto a salvare i giusti, ma i peccatori”. Ciò che importa per accedere alla salvezza non è lo stato originario di una persona, ma la sua conversione. Gesù non è l’amico dei ladri e delle prostitute, ma di coloro che si convertono, ladri o prostitute che siano.

La dimora di Dio fra gli uomini si effettua non appena gli uomini cercano di vedere Dio. La condiscendenza divina e l’elevazione umana coincidono nel tempo: oggi stesso. Il principio di questa necessità è la volontà del Padre, che il Figlio ha accettato di compiere dall’eternità. La Scrittura e l’esperienza stessa della Chiesa ci dicono quindi che il cercare Dio (preghiera e conversione sono da questo punto di vista la stessa cosa) costringe Dio a rispondere subito, oggi stesso. Questa azione di Dio nei riguardi di una persona dipende da una azione libera di questa persona: basti pensare al sì di Maria. Non si tratta di una costrizione deterministica ma di una relazione d’amore, contemporaneamente divina e umana, implicante entrambe le libertà. È impressionante come la libertà di Dio accetti di relazionarsi alla libertà umana in modo da doverne quasi dipendere. Zaccheo non è stato costretto a salire sul sicomoro, ma ha scelto volontariamente di salirvi. L’incontro non avviene per caso: è una coincidenza provvidenziale di due persone in movimento, è una occasione, una possibilità offerta all’uomo di afferrare l’amore di Dio. La convergenza di queste due libere volontà (o energie, per usare una espressione teologica cara ai padri orientali) supera tempo e spazio: l’oggi si dilata verso l’eternità dando origine alla salvezza. La condizione è che l’uomo non venga meno in questo suo desiderio di riconoscere il Signore e di vivere conseguentemente. Spetterà al Cristo di pronunciare il giudizio alla fine.

Una volta accaduti l’incontro e il riconoscimento reciproco, non c’è più tempo da perdere, perché questo è il tempo favorevole per la nostra salvezza, come ci ricorda Paolo. Zaccheo si alza, è nella gioia, si erge liberandosi del peso del peccato, e alla sua fede intende aggiungere le opere. Questa progressione sarà sottolineata innumerevoli volte negli uffici quaresimali. “Do la metà dei miei beni ai poveri, e se ho rubato qualcosa a qualcuno restituisco quattro volte tanto”. Gesù deve aver sorriso dicendo: “Oggi la salvezza è entrata in questa casa”: non solo perché ci entrava Lui, (Gesù in aramaico significa “Dio salva”), ma anche perché l’ospitante si era dato da fare per accogliere l’ospite facendo del suo meglio. La giustizia non è un vago sentimento, ma è una scelta quotidiana che può anche comportare sacrifici; la salvezza non è un appannaggio pauperistico, ma è alla portata di ogni uomo, ricco compreso. Dopo aver incontrato Gesù, Zaccheo appare distaccato dai suoi beni materiali, fino a condividerli senza esitazione (Gesù non gli aveva chiesto nulla).

Su questo tema delicato ci viene in aiuto sant’Ambrogio che, nel suo commento al Vangelo di Luca, giunto all’episodio di Zaccheo, sembra quasi ironizzare: “Ritorniamo ora nelle grazie dei ricchi: non vogliamo offenderli, in quanto desideriamo, se possibile, guarirli tutti. Altrimenti, impressionati dalla parabola del cammello, e lasciati da parte nella persona di Zaccheo, essi avrebbero un giusto motivo per ritenersi ingiuriati!”. E prosegue con tono più confacente al contenuto: “Essi debbono apprendere che non c’è colpa nell’essere ricchi, ma nel non saper usare delle ricchezze: le ricchezze, che nei malvagi ostacolano la bontà, nei buoni devono costituire un incentivo alla virtù. Ecco, qui il ricco Zaccheo è scelto da Cristo: dona la metà dei suoi beni ai poveri, e restituisce fino a quattro volte quanto aveva fraudolentemente rubato. Fare solo la prima di queste due cose non sarebbe stato sufficiente, poiché la generosità non conta niente, se permane l’ingiustizia!”.

Come Zaccheo, anche noi oggi non vedremo mai Gesù se restiamo al livello in cui siamo. Ci sono troppe persone o cose che stanno sulla nostra strada. Dobbiamo salire più in alto. Per nostra fortuna, ciascuno di noi ha un albero su cui salire per vedere Gesù: è l’albero della preghiera. Attraverso la preghiera possiamo realmente parlare con Gesù così come fece Zaccheo. Ci sono altri alberi: la Parola di Dio, che illumina la vita e guida i nostri passi; la Chiesa, la compagnia di amici che Dio ci ha dato per accompagnarci nel continuo richiamo alla memoria di Lui; la liturgia della Chiesa, nella quale Gesù si fa presente in modo reale per ciascuno di noi; i Sacramenti, quello della Penitenza (il nostro modo di pulire la nostra casa per ospitare Gesù attraverso il pentimento e il servizio ai fratelli) e l’Eucaristia (il pane e il vino che gustiamo nel pranzo con Gesù e con i fratelli). Non serve salire sul sicomoro: sono altri gli alberi salendo i quali possiamo vedere Gesù, essere visti da Gesù, parlare con lui e farlo entrare nel nostro cuore per l’anticipo del banchetto eterno.

 

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