sabato 2 febbraio 2013

Dai Duecento Capitoli di san Massimo il Confessore


Dai Duecento Capitoli di san Massimo il Confessore

 

61. L’inizio dell’ammaestramento degli uomini nella pietà si trova naturalmente nella carne; infatti, nel nostro primo accostarci alla pietà, noi entriamo in contatto con la lettera, non con lo spirito.

Progredendo parzialmente nello Spirito e affinando lo spessore dei termini con contemplazioni più sottili, veniamo a trovarci puramente nel puro Cristo, per quanto possibile a uomini, così da poter dire, con il grande Apostolo: Se anche abbiamo conosciuto Cristo secondo la carne, ora però non lo conosciamo più[1], a causa cioè dell’accostamento semplice dell’intelletto al Verbo, senza i veli di cui è coperto, progredendo dalla conoscenza del Verbo come carne, fino alla gloria di lui, come Unigenito dal Padre[2].

62. Chi vive la vita in Cristo, ha oltrepassato la legge e la natura. Voleva dir questo il divino Apostolo scrivendo: In Cristo Gesù infatti non vi è né circoncisione né prepuzio[3], indicando con la circoncisione la giustizia secondo la legge, e alludendo con il prepuzio all’uguaglianza della natura.

63. Alcuni rinascono mediante acqua e Spirito[4]; altri ricevono il battesimo in Spirito santo e fuoco[5]. Ritengo questi quattro elementi, l’acqua e lo Spirito, il fuoco e lo Spirito santo il medesimo e unico Spirito di Dio.

Per gli uni lo Spirito santo è acqua, come ciò che deterge le macchie esteriori del corpo. Per altri è Spirito in quanto produce i beni delle virtù. Per altri è fuoco in quanto purifica le brutture interiori nelle profondità dell’anima. Per altri, secondo il grande Daniele, è Spirito santo in quanto guida di sapienza e conoscenza[6]. Poiché dalla diversa operazione riguardante il soggetto, il medesimo ed unico Spirito assume diverse denominazioni.

64. La legge ha dato il sabato, affinché - è detto - si riposi il tuo giumento e il tuo servo[7]. Entrambi indicano in enigma il corpo. Il corpo di chi è dedito alla pratica, infatti, è il giumento dell’intelletto; costretto per forza a portar pesi con i comportamenti virtuosi, secondo la pratica. Esso è invece servo di chi è dedito alla contemplazione, in quanto è già dotato di razionalità in forza delle contemplazioni e capace di servire razionalmente agli ordini dell’intelletto relativi alla conoscenza. E per entrambi il sabato è il termine dei beni che si operano in loro tramite la pratica e la contemplazione, e offre così a ciascuno il riposo adeguato.

65. Chi raggiunge la virtù con la conoscenza adeguata, ha il corpo come giumento, e lo spinge con la ragione ad operare ciò che conviene fare. Ha come servo il costume virtuoso della pratica, cioè quel costume grazie al quale ha naturale sussistenza la virtù, costume acquisito - quasi come con denaro - per mezzo di pensieri dotati di discernimento.

Il sabato poi è lo stato impassibile e pacifico dell’anima e del corpo conforme a virtù, cioè uno stato di immutabilità.

66. La parola di Dio, per quelli che ancora si preoccupano soprattutto degli aspetti corporali della virtù, diventa paglia ed erba e nutre la parte passionale della loro anima, al servizio delle virtù. Per coloro invece che si sono elevati alla contemplazione della vera comprensione delle realtà divine, è pane che nutre la parte intelligente della loro anima orientandola a una perfezione simile a quella divina. Per questo troviamo che i patriarchi, nei loro viaggi, provvedono se stessi di pani e i loro asini di foraggio[8]. E nel libro dei Giudici, il levita dice al vecchio che lo ha ospitato a Gabaa: Ci sono pani per noi e paglia per i nostri asini, e per i tuoi servi non manca nulla[9].

67. La parola di Dio è detta ‘rugiada’[10], ‘acqua’, ‘fonte’[11] e ‘fiume’[12], come sta scritto, perché essa è e diviene tale, secondo la capacità esistente in chi l’accoglie. Per gli uni, infatti, essa è ‘rugiada’, in quanto spegne l’ardore dell’operazione esteriore delle passioni del corpo. È ‘acqua’ per quelli che ardono nel profondo dell’anima a causa del veleno del male, e non solo distrugge l’avversario con una passione opposta, ma comunica anche la potenza vitale per l’essere-bene.

‘Fonte’ per coloro nei quali perennemente zampilla l’abito della contemplazione, in quanto provvede sapienza. ‘Fiume’ per quelli che a fiumi effondono un insegnamento pio, retto e salutare, in quanto abbevera abbondantemente uomini, bestie, belve e piante, affinché gli uomini vengano deificati, elevandosi con i concetti inerenti alle parole; e quelli che sono divenuti come bestie a causa delle passioni siano resi uomini mediante l’esatta dimostrazione dei costumi secondo virtù e ricuperino la loro naturale razionalità; e quelli che sono diventati come belve a motivo delle abitudini malvagie e delle male azioni, addomesticati da un’esortazione blanda e delicata, ricuperino la mitezza naturale; e quelli che, come le piante, sono insensibili ai beni, ammorbiditi dal passaggio della Parola nel profondo, ricevano sensibilità per produrre frutti e, come potenza che li nutre, il valore proprio della Parola.

68. Il Verbo di Dio è ‘via’[13] per quelli che corrono bene e con vigore nella pratica e nello stadio della virtù, senza volgersi a destra con la vanagloria o a sinistra per l’inclinazione alle passioni, ma dirigendo i loro passi secondo Dio. Per non aver osservato questo sino alla fine è detto del re Asa che verso la vecchiaia era divenuto malato ai piedi[14], perché si era indebolito nella corsa della vita secondo Dio.

69. Il Verbo di Dio è detto ‘porta’[15] perché introduce nella conoscenza quelli che hanno ben compiuto tutta la via delle virtù, nella corsa irreprensibile della pratica. Ed è come una luce che mostra gli splendidissimi tesori della sapienza.

Il Verbo è, infatti, ad un tempo, via, porta, chiave[16] e regno[17]: ‘via’, in quanto guida; ‘chiave’, perché apre e viene aperto per quelli che sono degni delle cose divine; ‘porta’, perché introduce; ‘regno’, perché è dato in eredità ed è presente in tutti per partecipazione.

70. Il Signore è detto luce, vita, risurrezione e verità[18]. ‘Luce’, perché è splendore delle anime, mette in fuga la tenebra dell’ignoranza, illumina l’intelletto perché comprenda realtà ineffabili, mostra i misteri visibili soltanto ai puri. ‘Vita’, perché provvede il conveniente movimento nelle cose divine alle anime che amano il Signore. ‘Risurrezione’, perché fa risorgere l’intelletto dal morto attaccamento alle cose materiali, rendendolo puro da qualsiasi forma di corruzione e mortalità. ‘Verità’, perché dona a quelli che ne sono degni l’immutabile possesso dei beni.

71. Dio Verbo di Dio Padre è misticamente presente in ciascuno dei suoi comandamenti. E Dio Padre si trova per natura, tutto e indiviso, in tutto il suo Verbo.

Chi dunque accoglie un comandamento divino e lo mette in pratica, accoglie il Verbo di Dio che in esso si trova. Chi poi, mediante i comandamenti, ha accolto il Verbo, per mezzo suo ha insieme accolto lo Spirito che in esso per natura si trova. È detto infatti: In verità io vi dico: chi accoglie colui che io manderò, accoglie me, e chi accoglie me, accoglie colui che mi ha mandato[19]. Chi dunque ha accolto un comandamento e lo ha messo in pratica, ha accolto e possiede misticamente la santa Trinità.

72. Glorifica Dio in se stesso non chi lo onora soltanto a parole, ma chi per Dio, a motivo della virtù, sopporta di patire pene. Costui è a sua volta glorificato da Dio con la gloria che è in Dio, ricevendo per partecipazione la grazia dell’impassibilità quale premio della virtù.

Chiunque infatti glorifica Dio in se stesso mediante i patimenti che incontra per la virtù, nella pratica, è a sua volta glorificato in Dio, mediante le impassibili illuminazioni divine nella contemplazione.

Dice infatti il Signore, giungendo alla sua passione: Ora è stato glorificato il Figlio dell’uomo, e Dio è stato glorificato in lui; ...e anche Dio lo glorificherà in se stesso, e subito lo glorificherà[20]. E da ciò è evidente come i divini carismi facciano seguito ai patimenti per la virtù.

73. Finché noi vediamo la parola di Dio nella lettera della sacra Scrittura, divenuta corpo in vari modi mediante gli enigmi, non abbiamo ancora contemplato spiritualmente il Padre incorporeo, semplice, eterno e uno, come egli è nell’incorporeo, semplice, eterno e unico Figlio, secondo la parola: Chi ha visto me ha visto il Padre[21], e: Io sono nel Padre e il Padre è in me[22].

C’è dunque bisogno di grande scienza, affinché, dopo aver prima penetrato i velami dei termini della Parola, si possa contemplare con nudo intelletto il puro Verbo sussistente in se stesso, che chiaramente, per quanto possibile a uomini, mostra in se stesso il Padre.

È perciò necessario che chi cerca piamente Dio, non sia trattenuto da alcun termine, perché, senza accorgersene, non colga in luogo di Dio ciò che è intorno a Dio, amando cioè pericolosamente i termini scritturistici al posto della Parola, mentre la Parola sfugge al suo intelletto, che crede di tenere la Parola incorporea per mezzo dei suoi rivestimenti, come l’egiziana che non aveva afferrato Giuseppe stesso ma gli abiti di lui[23], e gli antichi uomini che, arrestandosi alla sola bellezza delle cose visibili, non si accorsero di servire alla creatura anziché al Creatore[24].

74. La parola della sacra Scrittura, una volta deposto l’insieme dei termini che sono su di essa dandole forma corporea, in forza dei concetti più elevati, come con voce di aura lieve[25] si mostra all’intelletto più chiaroveggente che, mediante il più estremo abbandono delle operazioni naturali, ha potuto afferrare la sola percezione della semplicità, che in qualche modo rivela la Parola, come il grande Elia che fu fatto degno di questa visione nella grotta dell’Oreb. Oreb significa infatti ‘terreno nuovo’, ed è il possesso delle virtù nello spirito nuovo della grazia. La ‘grotta’ è il luogo segreto della sapienza dell’intelletto: ivi, colui che vi giunge percepisce misticamente quella conoscenza che è al di là della percezione sensibile, e nella quale il testo dice che si trova Dio.

Chi dunque, come il grande Elia, cerca veramente Dio, non arriverà soltanto all’Oreb, cioè in possesso delle virtù, come operante nella pratica, ma anche dentro alla grotta che è sull’Oreb, cioè - come contemplativo - nel luogo segreto della sapienza, che si trova soltanto nel possesso delle virtù.

75. Quando l’intelletto avrà rigettato le sue molte opinioni intorno agli esseri, allora la Parola della verità gli si manifesterà chiaramente dandogli gli insegnamenti della vera conoscenza, eliminando come squame dagli occhi i preconcetti di prima, come avvenne al divino e grande apostolo Paolo[26]. ‘Squame’ realmente sono le nozioni della Scrittura attinenti soltanto alla lettera e le contemplazioni passionali delle cose visibili tramite la percezione sensibile: sovrapposte alla facoltà visiva dell’anima impediscono il passaggio della schietta Parola della verità.

76. Il divino apostolo Paolo disse di avere una conoscenza parziale del Verbo[27]. Il grande evangelista Giovanni dice invece di aver contemplato la sua gloria. Dice infatti: Abbiamo contemplato la sua gloria, gloria come di Unigenito del Padre pieno di grazia e di verità[28]. Ma forse san Paolo disse di avere una conoscenza parziale del Verbo in quanto Dio, perché lo si conosce soltanto mediante le sue operazioni, e in una certa misura: la conoscenza infatti secondo l’essenza e l’ipostasi è inaccessibile sia a tutti gli angeli che agli uomini e non è in nessun modo conosciuta.

San Giovanni, iniziato, per quanto possibile agli uomini, al discorso perfetto intorno all’incarnazione del Verbo, disse di aver contemplata la gloria, cioè il Verbo come carne, quindi la Ragione o lo scopo per il quale Dio si è fatto uomo, pieno di grazia e di verità. Infatti l’Unigenito è ricolmato di grazia non come Dio per essenza e consustanziale al Padre; ma poiché, conforme all’economia, è divenuto uomo per natura e a noi consustanziale, è stato ricolmato di grazia per noi che abbiamo bisogno della grazia. E dalla sua pienezza noi riceviamo sempre la grazia corrispondente ad ogni nostro progresso.

Così, chi avrà custodito inviolabile in se stesso il Verbo perfetto, riceverà la gloria, piena di grazia e di verità, del Dio Verbo che si è fatto carne per noi e che con la sua venuta, per noi ha glorificato e santificato se stesso in noi. È detto infatti: Quando egli si manifesterà saremo simili a lui[29].

 

Da: La Filocalia, vol. II, Gribaudi, Torino, 1983, 152-157.

 


[1] 2 Cor. 5, 16.
[2] Cfr. Gv. 1, 14.
[3] Cfr. Gal. 6, 15.
[4] Cfr. Gv. 3, 5.
[5] Cfr. Mt. 3, 11.
[6] Cfr. Dn.  1, 17; 5, 11 s.
[7] Cfr. Es. 23, 12.
[8] Cfr. Gen. 24. 25; 42, 25.27.
[9] Cfr. Gdc. 19, 19.
[10] Cfr. Dt. 32, 2.
[11] Cfr. Gv. 4, 14.
[12] Cfr. Gv. 1, 38.
[13] Cfr. Gv. 14, 6.
[14] Cfr. 3(1) Re 15, 23.
[15] Cfr. Gv. 10, 9.
[16] Cfr. Is. 22, 22.
[17] Cfr. Mc. 11, 10.
[18] Cfr. Gv. 8, 12; 11, 25; 14, 6.
[19] Gv. 13, 20.
[20] Gv, 13, 31 s.
[21] Gv. 14, 9.
[22] Gv. 14, 10.
[23] Cfr. Gen. 39, 12.
[24] Cfr. Sap. 13, 1 ss. e Rm. 1, 25.
[25] Cfr. 3(1) Re 19, 12.
[26] Cfr. At. 9, 18.
[27] Cfr. 1 Cor. 13, 9.
[28] Gv. 1, 14.
[29] 1 Gv. 3, 2.

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