mercoledì 16 gennaio 2013

Pre-Festa della Teofania


 

In vista della “Festa delle Luci”, una lettura sul significato della Luce e dell’Acqua spirituale

 

Dalla Omelia I sulla Genesi di Origene

1-8


La creazione

In principio Dio fece il cielo e la terra (Gen 1,1). Qual è il principio di tutte le cose, se non il nostro Signore e salvatore di tutti, Cristo Gesù, il primogenito di tutta la creazione (cfr 1 Tim 4,10; Col 1,15)? In questo principio, dunque, cioè nel suo Verbo, Dio fece il cielo e la terra, come dice anche l’evangelista Giovanni all’inizio del suo Vangelo: In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio, e il Verbo era Dio. Egli era in principio presso Dio. Tutte le cose furono fatte per mezzo di lui, e senza di lui nulla fu fatto (Gv 1, 1-3). Dunque qui non parla di un qualche principio temporale, ma dice che nel principio, cioè nel Salvatore, sono stati fatti il cielo e la terra, e tutte le cose che sono state create. La terra poi era invisibile e informe, e le tenebre erano sopra l’abisso, e lo Spirito di Dio si librava sulle acque (Gen 1,2). La terra era invisibile e informe prima che Dio dicesse: Sia la luce, e prima che dividesse la luce dalle tenebre, come mostra la successione del discorso. Poiché in quel che segue comanda che sia il firmamento e lo chiama cielo, quando giungeremo a quel punto diremo la ragione della differenza fra cielo e firmamento, e perché anche il firmamento sia stato chiamato cielo. Ora poi dice: Le tenebre erano sopra l’abisso (Gen 1,2). Qual è l’abisso? Certamente quello nel quale staranno il diavolo e i suoi angeli (cfr Ap 9,11; 11,7; 20,3; 2 Pt 2,4; Giuda, 6). E questo è indicato in maniera molto evidente anche nel Vangelo, quando si dice del Salvatore: I demoni che scacciava lo pregavano che non comandasse loro di andare nell’abisso (Lc 8,31). Per questo dunque Dio dissolse le tenebre, come dice la Scrittura: E Dio disse: Sia la luce; e la luce fu. E Dio vide che la luce era buona, e Dio divise la luce dalle tenebre, e Dio chiamò la luce giorno e chiamò le tenebre notte. E fu sera e fu mattina, un giorno (Gen 1, 3-5). Secondo la lettera, Dio chiama la luce giorno, e le tenebre notte. Ma secondo l’intelligenza spirituale, vediamo che cosa significhi il fatto che, quando in quell’inizio, di cui abbiamo detto sopra, Dio fece il cielo e la terra e disse anche che fosse la luce, e divise la luce dalle tenebre, e chiamò la luce giorno e le tenebre notte, e disse che fu sera e fu mattina, non disse giorno primo, ma disse: Un giorno. Il tempo, poiché non c’era ancora prima che fosse il mondo, incomincia a essere dai giorni che seguono. Infatti il secondo, il terzo, il quarto giorno, e tutti gli altri, cominciano a designare il tempo.

 
E Dio fece il firmamento

E Dio disse: Sia il firmamento in mezzo all’acqua, e divida acqua da acqua. E così fu; e Dio fece il firmamento (Gen 1, 6-7). Mentre già prima Dio aveva fatto il cielo, ora fa il firmamento. Infatti fece prima il cielo, di cui dice: Il cielo è mio trono (Is 66,1); poi fa il firmamento, cioè il cielo corporeo. Poiché ogni corpo è indubbiamente solido e consistente, ed è questo che divide l’acqua che è sopra il cielo dall’acqua che è sotto il cielo. Infatti, poiché tutte le cose che Dio avrebbe fatto constavano di spirito e corpo, per questo motivo si dice che in principio, e prima di tutte le cose, è stato fatto il cielo, cioè ogni sostanza spirituale, sopra la quale Dio riposa come su un trono regale. Questo cielo, poi, cioè il firmamento, è corporeo. Perciò, mentre quel primo cielo, che abbiamo detto spirituale, è la nostra anima, la quale anch’essa è spirito, cioè il nostro uomo spirituale, che vede e riconosce chiaramente Dio, questo cielo corporeo, che è chiamato firmamento, è il nostro uomo esteriore, che vede corporalmente. Come dunque il firmamento è stato chiamato cielo, poiché divide le acque che sono sopra di esso da quelle che sono sotto, così anche l’uomo, che è stato posto nel corpo, qualora sappia dividere e discernere quali sono le acque superiori, sopra il firmamento, e quali quelle sotto il firmamento, anch’egli potrà chiamarsi cielo, cioè uomo celeste, secondo la parola dell’apostolo Paolo che dice: La nostra vita è nei cieli (Fil 3, 20). Ecco dunque qual è il contenuto di queste parole della Scrittura: E Dio fece il firmamento, e divise le acque che sono sopra il firmamento da quelle che sono sotto il firmamento. E Dio chiamò il firmamento cielo, e Dio vide che era buono, e fu sera e fu mattina, secondo giorno (Gen 1, 7-8). Ciascuno di voi si sforzi dunque di imparare a dividere l’acqua che è sopra da quella che è sotto; affinché, conseguendo l’intelligenza dell’acqua spirituale e la partecipazione a quell’acqua che è sopra il firmamento, tragga fuori dal suo ventre fiumi di acqua viva zampillante per la vita eterna (cfr Gv 7,38; 4,14): nettamente segregato e separato dall’acqua che è sotto, cioè dall’acqua dell’abisso, nella quale si dice che sono le tenebre, nella quale abitano il principe di questo mondo, il dragone nemico e i suoi angeli, come sopra è stato indicato (cfr 1 Cor 2,6.8; Ef 2,2; Ap 20,2). È dunque partecipando di quell’acqua superiore, della quale si dice che è sopra i cieli, che ogni fedele diventa celeste: quando cioè abbia il suo spirito nelle cose alte ed eccelse, non avendo pensieri terreni, ma interamente celesti, cercando le cose dell’alto, dove è il Cristo alla destra del Padre (Col 3,1). Allora, anch’egli sarà da Dio ritenuto degno di quella lode che qui è scritta: E Dio vide che ciò era buono. Infine, anche le cose che sono descritte nel seguito del discorso riguardo al terzo giorno, devono intendersi secondo la medesima interpretazione. Dice infatti: E Dio disse: Si raduni l’acqua che è sotto il cielo in una massa unica, ed appaia l’asciutto. E così fu (Gen 1,9). Sforziamoci dunque di raccogliere l’acqua che è sotto il cielo e di rigettarla da noi, affinché, fatto questo, appaia l’asciutto, che sono le nostre opere compiute nella carne: in modo che gli uomini, vedendo le nostre opere buone, glorifichino il nostro Padre che è nei cieli (Mt 5,16). Giacché, se non separeremo da noi queste acque che sono sotto il cielo, cioè i peccati e i vizi del nostro corpo, il nostro asciutto non potrà apparire, né avere fiducia di accedere alla luce. Chiunque infatti opera il male odia la luce, e non viene alla luce [...], in modo che in essa si manifestino le sue opere, e si veda se sono state compiute in Dio (Cfr. Gv. 3, 20-21, 1, 5.9-11). E questa fiducia non ci sarà data, se non rigettando e separando da noi, come acque, i vizi del corpo, che sono la materia dei peccati. Fatto ciò, il nostro asciutto non rimarrà asciutto, come si mostra da quel che segue. Dice infatti: E si radunò l’acqua che è sotto il cielo nei suoi ammassi, ed apparve l’asciutto. E Dio chiamò l’asciutto terra, e gli ammassi delle acque chiamò mari (Gen 1,9-10). Come dunque questo asciutto, dopo aver separato da sé l’acqua, nel modo che abbiamo detto sopra, non rimase più asciutto, ma viene chiamato terra, così anche i nostri corpi, se si farà tale separazione, non rimarranno asciutto, ma si chiameranno terra, perché potranno ormai portare frutto per Dio. Giacché in principio Dio fece il cielo e la terra, e poi il firmamento e l’asciutto; e chiamò il firmamento cielo, dandogli il nome di quel cielo che aveva creato prima, e l’asciutto lo chiamò terra, per il fatto che gli dava la facoltà di portare frutti. Se dunque qualcuno, per sua colpa, rimane ancora arido, e non porta alcun frutto, ma spine e triboli, come se portasse esca per il fuoco, anch’egli, secondo quel che produce, diventa esca per il fuoco (cfr Gen. 3, 18; Eb. 6, 8; Is. 9, 18); ma se, con il suo zelo e diligenza, avendo separato da sé le acque dell’abisso, che sono i pensieri dei demoni, si è mostrato terra fruttifera, deve sperare cose simili: di essere anch’egli introdotto da Dio nella terra stillante latte e miele (cfr. Es. 3, 8; 33, 3).


La terra che produce i frutti

Consideriamo poi da quel che segue quali siano i frutti che Dio comanda di produrre a quella terra, cui egli stesso ha fatto grazia del nome. Dice: E Dio vide che ciò era buono, e Dio disse: Produca la terra erba da fieno, che semina seme secondo la sua specie e secondo la sua somiglianza, e alberi da frutto che fanno frutto, il cui seme è in loro, secondo la loro somiglianza sopra la terra. E così fu (Gen 1, 10-11). Secondo la lettera sono manifesti i frutti che produce la terra, non l’asciutto; ma nuovamente rapportiamolo anche a noi. Se già siamo divenuti terra, se non siamo più asciutto, rendiamo a Dio frutti abbondanti e svariati, per avere anche noi la benedizione dal Padre che dice: Ecco l’odore del figlio mio è come l’odore di un campo rigoglioso, che il Signore ha benedetto (Gen 27,27), e si compia in noi quel che dice l’Apostolo: La terra che spesso riceve la pioggia che cade su di lei, e genera erba utile a quelli che la coltivano, riceverà benedizioni da Dio; ma quella che produce spine e triboli, è riprovata, prossima alla maledizione, e finirà nel fuoco (Eb 6, 7-8).
 

I semi in noi stessi

E la terra produsse erba da fieno, che semina seme secondo la sua specie e secondo la sua somiglianza, e alberi da frutto che fanno frutto, il cui seme in loro fa frutto, secondo la sua specie, sopra la terra. E Dio vide che ciò era buono. E fu sera, e fu mattina, terzo giorno (Gen 1, 12-13). Non solo comanda alla terra di produrre erba da fieno, ma anche seme, affinché sempre possa portare frutto; e non solo comanda alberi da frutto, ma anche che fanno frutto, il cui seme è in loro, secondo la loro specie, cioè tali che sempre possano portare frutto dai semi che hanno in sé. Anche noi, dunque, dobbiamo così sia portare frutto che averne i semi in noi stessi, cioè contenere nel nostro cuore i semi di tutte le opere buone e di tutte le virtù, affinché, avendoli ben fissi nelle nostre anime, da essi ormai compiamo secondo giustizia ogni atto che ci si presenti. Questi infatti sono i frutti di quel seme, i nostri atti, che promanano dal buon tesoro del nostro cuore (cfr Lc 6,45). Se ascoltiamo sì la parola, e dall’ascolto subito la nostra terra produce l’erba, ma quest’erba, prima di giungere alla maturazione e al frutto, si dissecca, la nostra terra sarà chiamata sassosa; se invece le parole dette si radicano più profondamente nel nostro cuore, in modo da portare frutto di opere e da avere in sé i semi di quelle future, allora veramente la terra di ciascuno di noi porta frutto secondo il suo potere: quale il cento, quale il sessanta, quale il trenta per uno (cfr Mt 13, 20-23). Ma ci pare giusto e necessario dare anche l’ammonimento che il nostro frutto non abbia in alcuna parte zizzania, cioè loglio, che non sia lungo la via (cfr Lc 8,5), ma sia seminato nella via stessa, in quella che dice: Io sono la via (Gv 14,6), affinché gli uccelli del cielo (cfr Mt 13,4; Lc 8,5) non divorino i nostri frutti né la nostra vigna. Se poi qualcuno di noi avrà meritato di essere vigna, veda di non produrre spine invece di uva (cfr Is 5,6); perché altrimenti non sarà più potata, né zappata, e non sarà dato alle nubi il comando di far piovere sopra di lei, ma al contrario sarà lasciata abbandonata, così che crescano sopra di essa le spine (cfr Is 5, 1-7).


I luminari nel firmamento

Invero, dopo queste cose, il firmamento può ormai anche essere adornato di luminari. Dice infatti Dio: Ci siano luminari nel firmamento del cielo, affinché facciano luce sopra la terra, e dividano il giorno dalla notte (Gen 1,14). Come in questo firmamento, che già era stato chiamato cielo, Dio comanda che ci siano luminari, per dividere il giorno dalla notte, così può accadere anche a noi, se solo ci sforziamo di essere chiamati e di diventare cielo: avremo dei luminari in noi, che ci illumineranno: Cristo e la sua Chiesa. Egli infatti è la luce del mondo (Gv 8,12), che illumina anche la Chiesa della sua luce. Come infatti della luna si dice che riceve la luce dal sole, così che mediante essa anche la notte può essere illuminata, allo stesso modo la Chiesa, ricevuta la luce di Cristo, illumina tutti coloro che si trovano nella notte dell’ignoranza. Se uno ottiene di diventare figlio di Dio (cfr Rm 8,14), così da camminare nel giorno, in santità (Rm 13,13), da figlio del giorno e figlio della luce ( 1 Ts 5,5), questi è illuminato dal Cristo stesso, come il giorno dal sole.


I giorni e gli anni

E siano come segni per i tempi, i giorni e gli anni; e risplendano nel firmamento del cielo, per far luce sopra la terra. E così fu (Gen 1, 14-15). Come questi luminari visibili del cielo sono stati posti come segni per i tempi, i giorni e gli anni, per far luce dal firmamento del cielo a quanti sono sopra la terra, allo stesso modo Cristo, illuminando la sua Chiesa, dà dei segni, mediante i suoi precetti, affinché chi riceve il segno sappia come sfuggire all’ira che sta per venire (1 Ts 1,10; cfr Mt 3,7; Lc 3,7), così che quel giorno non lo incolga come il ladro ( 1 Ts 5,4), ma piuttosto possa giungere all’anno gradito al Signore (Is 61,2). Cristo dunque è la luce vera, che illumina ogni uomo che viene in questo mondo (Gv 1,9); illuminata dalla sua luce, la Chiesa diventa essa stessa luce del mondo, illuminando coloro che sono nelle tenebre (cfr Rm 2,19), come attesta il Cristo stesso ai suoi discepoli, dicendo: voi siete la luce del mondo (Mt 5,14). Questo mostra che Cristo è luce degli apostoli, gli apostoli luce del mondo; giacché essi, non aventi macchia o ruga o alcunché di simile, sono la vera Chiesa, come dice anche l’Apostolo: affinché egli presenti a sé gloriosa la Chiesa, non avente macchia o ruga o alcunché di simile ( Ef 5,27).
 

Il luminare maggiore e minore

E Dio fece i due grandi luminari, il luminare maggiore a governo del giorno, e il luminare minore a governo della notte, e le stelle. E Dio li pose nel firmamento del cielo, affinché facciano luce sopra la terra, e reggano il giorno e la notte, e dividano la luce dalle tenebre. E Dio vide che ciò era buono. E fu sera, e fu mattina, quarto giorno ( Gen 1, 16-19). Come si dice del sole e della luna che sono i grandi luminari nel firmamento del cielo, così anche in noi il Cristo e la Chiesa. Ma poiché Dio ha posto nel firmamento anche le stelle, vediamo quali siano le stelle anche in noi, cioè nel cielo del nostro cuore. Mosè è in noi una stella che fa luce e ci illumina con i suoi atti; e Abrahamo, Isacco, Giacobbe, Isaia, Geremia, Ezechiele, David, Daniele e tutti coloro dei quali la Sacra Scrittura dà testimonianza che piacquero a Dio. Come infatti una stella differisce dall’altra nella gloria così anche ogni santo diffonde in noi la sua luce, secondo la sua grandezza; e come il sole e la luna illuminano i nostri corpi, così Cristo e la Chiesa illuminano le nostre anime. Tuttavia siamo così illuminati se non siamo ciechi nell’anima: infatti, come chi è cieco negli occhi del corpo non può ricevere la luce del sole e della luna, per quanto ne sia illuminato; così anche Cristo concede la sua luce alle nostre anime, ma allora soltanto ci illuminerà, se in nessun modo lo impedisce la cecità dell’anima. Posto che questo accada, occorre in primo luogo che quelli che sono ciechi seguano il Cristo, dicendo ed esclamando: Figlio di David, abbi pietà di noi (Mt 9,27), affinché, ricevendo da lui anche la vista, possano in seguito essere irraggiati dallo splendore della sua luce. In verità, non tutti quelli che vedono sono illuminati dal Cristo in egual maniera, ma ciascuno lo è secondo la misura con cui è capace di ricevere la forza della luce. E come gli occhi del nostro corpo non sono illuminati dal sole in egual maniera, ma, quanto più uno sarà salito in alto e avrà contemplato il suo sorgere dalla visuale di un osservatorio più elevato, tanto più riceverà del suo splendore e calore; così anche la nostra anima, quanto più in alto e in maniera sublime si sarà avvicinata al Cristo, e si sarà esposta più da vicino allo splendore della sua luce, con tanto più grande magnificenza e chiarezza sarà irraggiata dalla sua luce, come dice egli stesso per mezzo del Profeta: Avvicinatevi a me, e io mi avvicinerò a voi, dice il Signore (Zc 1,3); e dice ancora: Io sono un Dio che si avvicina, non un Dio da lontano (Ger 23,23). Tuttavia non ci accostiamo a lui tutti allo stesso modo, ma ciascuno secondo la propria capacità (Mt 25,15). Infatti, o ci accostiamo a lui con le folle, ed egli ci ristora mediante le parabole, semplicemente perché non veniamo meno per via per i molti digiuni (cfr Mt 13,34; 15,32; Mc 8,3), ovvero sediamo ai suoi piedi sempre e incessantemente, liberi solo per ascoltare la sua parola, in nulla inquietandoci per un servizio molteplice, ma scegliendo la parte migliore, che non ci sarà tolta (cfr Lc 10, 39-42). Certamente, coloro che così accedono a lui, ottengono molto di più della sua luce. Se, come gli apostoli, non ci allontaniamo da lui in nulla, ma restiamo sempre con lui in tutte le sue tribolazioni (Lc 22,28), allora, in segreto, egli ci spiega e chiarisce le cose che ha detto alle folle, e ci illumina molto più chiaramente (Mc 4,34). Se poi uno è tale da potere anche salire con lui sul monte, come Pietro, Giacomo e Giovanni (cfr Mt 17,1-8 e par.), questi sarà illuminato non solo dalla luce di Cristo, ma anche dalla voce del Padre suo.
 

Rettili e volatili

E Dio disse: Producano le acque rettili di anime vive, e volatili volanti sopra la terra, lungo il firmamento del cielo. E così fu (Gen 1,20). Secondo la lettera, per il comando di Dio sono prodotti dalle acque rettili e volatili, e impariamo da chi sono state fatte le cose che vediamo; ma consideriamo come queste stesse cose avvengano nel firmamento del nostro cielo, cioè nella solidità della nostra anima e del nostro cuore. Ritengo che, se la nostra anima sarà illuminata dal nostro sole, il Cristo, in seguito verrà il comando di produrre dalle acque che sono in lei rettili e volatili volanti, cioè di far emergere in piena luce i pensieri buoni e i pensieri cattivi, affinché vi sia il discernimento fra quelli buoni e quelli cattivi, che, entrambi, procedono dal cuore (cfr Gv 3, 20-21; Ef 5,13; Mc 7, 20-23). Infatti dal nostro cuore emergono, come da acque, pensieri buoni e cattivi. Ma noi, per la parola e il comando di Dio, portiamoli, gli uni e gli altri, al cospetto e al giudizio di Dio, affinché, illuminati da lui, possiamo discernere il bene dal male, cioè separiamo da noi le cose che strisciano sulla terra e arrecano sollecitudini terrene; ma le cose migliori, cioè i volatili, lasciamoli volare non solo sopra la terra, ma anche lungo il firmamento del cielo; e questo, affinché consideriamo a fondo in noi il significato e la natura delle cose terrene e di quelle celesti, e possiamo anche comprendere quali, fra i rettili, siano in noi nocivi.

 

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