giovedì 10 gennaio 2013

I Santi 20.000 Martiri di Nicomedia

 


Menologio di Basilio II, i 20.000 martiri di Nicomedia

 

Post-festa della Natività

I Santi 20.000 Martiri di Nicomedia

tra i quali Glicherio, Zeno, Teofilo, Doroteo, Mardonio, Migdonio, Indysos, Gorgonio, Pietro, Eutimio, e le vergini Agape, Domna, Teofila e molti altri

28 dicembre (10 gennaio)

 

I testi sono a cura di E. M.

 

 

Noi teniamo Dio non nei templi ma nei cuori: tutto ciò che è fatto dalle mani degli uomini è soggetto a distruzione[1]; la Chiesa è il vero tempio di Dio non costruito da muri ma nel cuore degli uomini che credono e che perciò sono chiamati fedeli…[2]

Lucio Cecilio Firmiano Lattanzio

 

 

Precisazioni storiche

Il martirio dei 20.000 cristiani di Nicomedia è fissato da una tradizione al Natale del 302, quando, secondo una passio e vari Martirologi e Menologi, numerosi cristiani perirono nell’incendio della chiesa mentre erano lì radunati per la festa.

Nicomedia era un’antica città dell’Asia minore che Diocleziano aveva elevato a capitale della parte orientale dell’impero. Il 23 febbraio del 303, lo stesso Diocleziano istigato da Galerio ordinò che la chiesa cristiana di Nicomedia, che si ergeva su una collina di fronte il palazzo imperiale, fosse rasa al suolo, i suoi libri bruciati e i suoi tesori confiscati. Essendo il 23 febbraio la festa dei Terminalia, dedicata a Terminus, il dio dei confini, si voleva in questo giorno mettere termine al cristianesimo; Diocleziano e Galerio assistettero al sacrilegio affacciati dall’ultimo piano del palazzo[3]. Il giorno successivo fu emanato e pubblicato un primo editto contro i cristiani[4], che venne audacemente stracciato da Evezio[5], un cristiano che ricopriva una alta carica, il quale pagò il suo gesto con crudeli torture ed una lenta morte sul fuoco[6]. È il primo di una lunga serie di cristiani che verranno arsi vivi a Nicomedia. A distanza di poco tempo, a seguito dell’incendio del palazzo imperiale fatto dolosamente appiccare da Galerio, vengono ingiustamente accusati i cristiani, e si ha una recrudescenza della persecuzione, che a poco a poco si estende a tutti, cominciando dagli eunuchi e i servitori della corte, parte dei quali erano cristiani[7], tra questi Eusebio di Cesarea ricorda il martire Pietro che muore bruciato, e i santi Doroteo e Gorgonio morti strangolati. Lattanzio, prezioso testimone oculare di queste vicende, in quanto si trovava a Nicomedia come insegnante di retorica presso la scuola imperiale (ingaggiato proprio da Diocleziano) così ci riferisce: “Alcuni eunuchi che fino allora avevano avuto un grande potere e sui quali poggiava tutta l’amministrazione della casa furono arrestati e messi a morte. Sacerdoti e diaconi, senza alcuna imputazione o processo, senza prova alcuna della loro colpevolezza, furono condannati a morte con tutti i loro familiari e servi. Cristiani di ogni condizione, senza distinzione di sesso o di età, furono presi e bruciati vivi, e non uno per volta, ma in massa, giacché il loro numero era troppo grande. Le case venivano circondate e date alle fiamme dove tutti perivano. I domestici erano gettati in mare con una pietra al collo e affogati”[8]. E ancora Eusebio così ci racconta: “In quel tempo fu decapitato per la sua testimonianza a Cristo Antimo[9], che era a capo della Chiesa di Nicomedia. A lui si aggiunse una folta schiera di martiri, poiché proprio in quei giorni, nel palazzo imperiale di Nicomedia, si era sviluppato, non so come, un incendio, e correva voce, per un falso sospetto, che fosse opera dei nostri. Per ordine imperiale i devoti del luogo, senza distinzione e in massa, parte furono trucidati con la spada, e parte bruciati sul rogo, e si dice che allora uomini e donne si precipitarono sul rogo con slancio indicibile e divino; i carnefici ne legarono poi un’altra schiera su barche e li inabissarono in fondo al mare”[10].

L’editto di Nicomedia, emanato dall’ipocrita Galerio nel 311, che concedeva ai cristiani la libertà di culto e la facoltà di ricostruire le chiese distrutte, può aiutarci a fare ulteriore luce sulla memoria che oggi celebriamo. Il termine conventicula, ivi adoperato in riferimento alle chiese, infatti, indicava sia “l’assemblea” che il “luogo dell’assemblea”. È chiaro dunque come, col tempo, la memoria delle sofferenze della Chiesa di Nicomedia, che aveva avuto innumerevoli martiri[11], molti dei quali arsi vivi in massa, si sia fusa o sia stata confusa con l’atto iniziale della persecuzione, che era stato la distruzione dell’edificio sacro della comunità.

Se il numero 20.000 deve quindi considerarsi simbolico dell’insieme dei cristiani morti per la fede in Nicomedia, e succedutisi in tempi e modi diversi, non si può certamente dubitare della loro storicità.

La Chiesa ortodossa celebra la memoria dei Santi 20.000 martiri di Nicomedia il 28 dicembre, lo stesso giorno in cui li ricorda l’antico Martirologio Romano: Die 28 Decembris. Quinto Kalendas Januarii. Nicomediae sanctorum Martyrum Indis eunuchi, Domnae et Agapis ac Theophilae Virginum, et Sociorum; qui, in persecutione Diocletiani, post longa certamina, diverso mortis genere coronam martyrii sunt assecuti.

 
 

Un succinto racconto della passione[12]

All’inizio del secolo IV l’imperatore Massimiano[13] diede ordine di distruggere le chiese cristiane, di bruciare i libri sacri e di privare i cristiani di tutti i diritti, degli uffici e della cittadinanza. In quel periodo era vescovo della città di Nicomedia san Cirillo, che con la sua predicazione e l’esempio della sua vita aveva contribuito alla diffusione della fede cristiana, di modo che molti dei dignitari dell’imperatore erano segretamente divenuti anch’essi cristiani.

Alla corte dell’imperatore in Nicomedia viveva una sacerdotessa pagana di nome Domna, che aveva ottenuto una copia degli Atti degli Apostoli e delle Epistole dell’apostolo Paolo. Il suo cuore ardeva dal desiderio di conoscere meglio la dottrina cristiana. Con l’aiuto di alcuni giovani cristiani, Domna si recò di nascosto dal vescovo Cirillo, in compagnia di un fedele servitore, l’eunuco Indysos. San Cirillo li catechizzò, e poi entrambi furono battezzati. Domna cominciò ad aiutare i poveri: distribuì quanto aveva di valore con l’aiuto di Indysos, e distribuì anche il cibo dalla cucina imperiale. Quando il capo degli eunuchi - che era preposto alle provvigioni della famiglia imperiale - scoprì che Domna e Indysos non mangiavano il cibo li scacciò dalla tavola dell’imperatore. Li fece anche battere per scoprire perché non prendevano cibo, ma essi rimasero in silenzio. Un altro eunuco lo informò che i santi stavano distribuendo tutti i doni dell’imperatore ai poveri. Egli li rinchiuse in prigione per estenuarli con la fame, ma essi furono sostenuti da un angelo e non soffrirono. Infine, per non vivere più in mezzo ai pagani, santa Domna finse la pazzia. Quindi lei e Indysos riuscirono a lasciare la corte, e si recarono al monastero femminile dell’igumena Agazia. Prontamente l’igumena rivestì Domna con abiti maschili, le tagliò i capelli e la rimandò fuori dal monastero.

In questo stesso periodo l’imperatore fece ritorno dalla guerra e diede ordine di cercare in tutto il paese l’ex-sacerdotessa pagana Domna. I soldati inviati a questo scopo occuparono il monastero e lo distrussero. Le monache furono gettate in prigione, sottoposte a torture e abusi, ma nessuna di loro subì violazione. Una di esse, santa Teofila, che era stata inviata presso una casa di iniquità, con l’aiuto di un angelo del Signore preservò la sua verginità: l’Angelo la liberò dal postribolo e la condusse alla chiesa.

Frattanto l’imperatore aveva disposto che nella piazza della città si offrisse un sacrificio agli dei pagani. Quando si cominciò ad aspergere la folla con il sangue degli animali sacrificali, i cristiani iniziarono a lasciare la piazza. Vedendo questo, l’imperatore si infuriò, ma non diede sfogo alla sua rabbia poiché nel bel mezzo delle sue farneticazioni sortì una grande tempesta. Le persone fuggirono in preda al panico, e l’imperatore dovette ritirarsi al palazzo per la propria incolumità. Qualche tempo dopo Massimiano scortato dai suoi soldati si recò alla chiesa e disse ai cristiani che potevano sfuggire al castigo se rinunciavano a Cristo. In caso contrario, minacciò di bruciare la chiesa e uccidere quanti vi erano. Il presbitero Glicherio gli disse che i cristiani non avrebbero mai rinunciato alla loro fede, neanche sotto minaccia di tortura. Celando la sua rabbia, l’imperatore uscì dalla chiesa, e pochi giorni dopo ordinò che il presbitero Glicherio venisse arrestato per essere processato. I carnefici torturarono il martire, che non cessò di pregare e invocare il nome del Signore. Non essendo in grado di strappare un’abiura a san Glicherio, Massimiano ordinò che fosse bruciato vivo.
 




Nella festa della Natività di Cristo nell’anno 302, quando circa 20.000 cristiani si erano riuniti nella chiesa cattedrale di Nicomedia, l’imperatore inviò nella chiesa un araldo che comunicò ai cristiani che i soldati avevano circondato l’edificio, e che chiunque avesse voluto lasciarlo avrebbe dovuto offrire sacrifici agli dei pagani. Mentre chi avesse sfidato l’imperatore sarebbe morto una volta appiccato il fuoco alla chiesa. Ma tutti i presenti rifiutarono di adorare gli idoli. Mentre i pagani si apprestavano a dar fuoco alla chiesa, il vescovo Antimo (successore di san Cirillo), dopo aver completato gli uffici Divini, battezzò tutti i catecumeni e comunicò tutti con i santi Misteri. Tutti i 20.000 morirono nel fuoco mentre pregavano. Tra di loro c’erano anche l’igumena Agazia e santa Teofila. Mentre il vescovo Antimo miracolosamente riuscì a sfuggire al fuoco.

Massimiano pensava di aver sterminato tutti i cristiani di Nicomedia. Ma ben presto apprese che ve ne erano molti di più, e che tutti come i primi avrebbero confessato la loro fede e sarebbero stati pronti a morire per Cristo. L’imperatore studiò il da farsi. Ordinò che venisse arrestato Zeno comandante dei soldati, che apertamente davanti al popolo aveva criticato l’imperatore per l’empietà e la crudeltà. Zeno fu picchiato ferocemente e infine decapitato. Fece poi recludere l’eunuco Indysos, un tempo sacerdote degli idoli, per essersi rifiutato di partecipare a una festa pagana.

La persecuzione contro i cristiani continuò. Doroteo, Mardonio, il diacono Migdonio ed altri furono gettati in prigione. Il vescovo Antimo li incoraggiava con l’invio di lettere. Uno dei messaggeri, il diacono Teofilo, venne catturato e sottoposto a tortura, per poter apprendere dove il vescovo si nascondesse. Il santo martire sopportò tutto, non rivelando nulla. Allora lo uccisero insieme a coloro a cui il vescovo si era rivolto nella sua lettera. Anche se uccisi in modi diversi, tutti mostrarono lo stesso coraggio e ricevettero da Dio le loro corone.

Per settimane, santa Domna si nascose all’interno di una grotta sostentandosi da sola e nutrendosi di piante. Quando tornò in città, pianse a lungo sulle rovine della chiesa, deplorando il fatto che lei non era stata trovata degna di morire con gli altri. Quella notte andata in riva al mare, vide che i pescatori tiravano a riva nelle loro reti i corpi dei martiri Indysos, Gorgonio e Pietro.

Santa Domna era ancora vestita con abiti maschili, e aiutò i pescatori a tirare le loro reti, i quali su sua richiesta le lasciarono i corpi dei martiri. Con riverenza compose i sacri resti e pianse su di loro, in particolare, sul corpo del suo fratello spirituale, il martire Indysos. Dopo aver dato loro degna sepoltura, non si allontanò dalle loro tombe tanto care al suo cuore, ma ogni giorno bruciava incenso davanti a loro, cospargendole di essenze profumate. Quando l’imperatore fu informato in merito a un giovane sconosciuto che offriva incenso sulle tombe dei cristiani giustiziati, ordinò che venisse decapito. Insieme a Domna fu ucciso anche il martire Eutimio.

 
 

Tropario, tono 2

Beata è la terra che ha ricevuto il vostro sangue, o vittoriosi, che avete sofferto la passione del Signore, e sante le dimore che hanno accolto i vostri spiriti. Avete trionfato nello stadio sul nemico e con audacia avete annunciato Cristo. Poiché Egli è buono, vi preghiamo di imploralo per la salvezza delle anime nostre.

 

Kontakion, tono 1

Con le anime fortificate dalla fede, i ventimila martiri accettarono la loro sofferenza attraverso il fuoco e gridarono a Te, che sei nato della Vergine: “Come oro, mirra ed incenso, i doni dei re Persiani, ricevi il nostro olocausto, o Dio Eterno”.

 

 

Per le preghiere dei tuoi Martiri, o Cristo Dio, abbi pietà di noi!



[1] De ira Dei, 24.
[2] De divinis institutionibus, IV, 13.
[3] Cfr. Lattanzio, De Mortibus Persecutorum, XII.
[4] Ib, XIII.
[5] Ricordato al 24 febbraio dal Martirologio Siriaco.
[6] Ib.; cfr. Eusebio di Cesarea, Historia Ecclesiatica, VIII, 5.
[7] Cfr. Lattanzio, o. c., XIV-XV;
[8] Cfr. Lattanzio, o. c., XV.
[9] La memoria di sant’Antimo viene celebrata il 3 settembre.
[10] Eusebio, o. c., VIII, 6.
[11] Il 5 gennaio si ricordano il vescovo di Nicomedia Teotempto e l’ex mago Theonas, e il 7 febbraio si celebra la memoria dei 1.003 martiri di Nicomedia, tutti uccisi nella stessa persecuzione di Diocleziano.
[13] Il testo della passio greca dei santi Domna e Indysos, da cui è stata stesa la sintesi, cita erroneamente Massimiano, la cui sede era però Milano, per quanto non vi risedesse stabilmente a causa delle continue campagne militari, mentre Nicomedia era sede di Diocleziano, come già evidenziato in precedenza in merito a questi fatti anche dagli storici Lattanzio ed Eusebio.

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