venerdì 4 gennaio 2013

Dall’Adversus haereses di s. Ireneo di Lione

 
Icona di Tironi E.



Dall’Adversus haereses di sant’Ireneo vescovo di Lione

 
Il Verbo s’identifica col Cristo.

 
 

III, 16,2 – Che Giovanni abbia conosciuto un unico e identico Verbo di Dio, Unigenito e incarnato per la nostra salvezza, Gesù Cristo Signore nostro, l’abbiamo dimostrato sufficientemente con le sue stesse parole.

Anche Matteo conosce un solo e medesimo Cristo Gesù, del quale narra la generazione umana dalla Vergine, secondo la promessa fatta da Dio a Davide di suscitare dal frutto del suo seno (cfr. Sal. 131, 11) un re eterno – lo stesso aveva promesso molto tempo prima ad Abramo – dicendo: «Libro della generazione di Gesù Cristo, figlio di Davide, figlio di Abramo» (Mt. 1, 1). Poi, per togliere ogni sospetto riguardo a Giuseppe, continua: «La generazione di Cristo avvenne in questo modo: la madre di lui, sposata a Giuseppe, si trovò incinta per opera dello Spirito Santo prima che venissero ad abitare insieme» (ivi 18). Racconta poi che, mentre Giuseppe stava pensando di rinviare Maria a motivo del suo stato, gli si presentò un angelo di Dio e gli disse: «Non temere di prendere Maria per tua moglie, poiché ciò che essa ha concepito è opera dello Spirito Santo; darà alla luce un figlio al quale metterai nome Gesù, perché egli salverà il popolo dai suoi peccati. Questo è avvenuto perché si adempisse la parola pronunziata dal Signore per mezzo del profeta: Ecco una vergine concepirà e darà alla luce un figlio e gli metteranno nome Emanuele, cioè Dio con noi» (ivi 19-23).

Con ciò afferma chiaramente che si è realizzata la promessa fatta ai padri nella nascita del Figlio di Dio dalla Vergine e che questo stesso è Cristo Salvatore annunziato dai profeti, senza distinguere, come gli eretici, un Gesù nato da Maria e un Cristo disceso dall’alto. Matteo avrebbe potuto dire diversamente: «La generazione di Gesù avvenne in questo modo»; ma lo Spirito santo, prevedendo questi perversi interpreti e premunendoci contro di loro, disse per mezzo di Matteo: «La generazione di Cristo avvenne in questo modo»; e aggiunge ch’egli è l’Emanuele, perché non lo ritenessimo semplice uomo, ma Verbo di Dio fattosi carne per volontà di Dio e perché non potessimo minimamente distinguere Gesù dal Cristo, confessandolo invece un’unica e identica persona[1].

III, 16,3 - Lo stesso affermò Paolo scrivendo ai Romani: «Paolo, apostolo di Gesù Cristo, destinato a predicare il vangelo di Dio promesso per mezzo dei suoi profeti nelle sante Scritture, nella persona del Figlio suo che divenne uno della progenie di Davide secondo la carne, che fu predestinato ad essere Figlio di Dio per la sua potenza mediante lo Spirito di santità, in seguito alla resurrezione dai morti, Gesù Cristo Signor nostro» (Rom. 1, 1-4). Nella stessa lettera dice a proposito di Israele: «...ai quali appartennero i patriarchi e Cristo secondo la carne, egli che è Dio superiore a tutti, benedetto per tutti i secoli» (Rom. 9, 5). Egualmente nella lettera ai Galati: «Ma, quando giunse la pienezza dei tempi, Dio mandò il Figlio suo, fatto dalla donna, sottoposto alla Legge, affinché fossero liberati quelli che si trovavano sotto la Legge e noi ricevessimo la figliazione adottiva» (Gal. 4, 4s). Afferma, dunque, chiaramente ch’esiste un unico Dio il quale fece la promessa di mandare il Figlio e un unico Gesù Cristo Signore nostro, che discendente di Davide in quanto generato da Maria, fu predestinato a essere Figlio di Dio Gesù Cristo per la sua potenza, mediante lo Spirito di santità, in seguito alla resurrezione dai morti, per essere «primogenito dei morti» ( Col. 1, 18) come è «primogenito di tutta la creazione» (ivi 15), Figlio di Dio divenuto figlio dell’uomo perché noi ricevessimo la figliazione adottiva, in quanto l’uomo contiene e abbraccia il Figlio di Dio.

Per questo Marco dice: «Inizio del vangelo di Gesù Cristo, Figlio di Dio come è scritto nei profeti» (Mc. 1, 1). Egli riconosce un unico Figlio di Dio Gesù Cristo, annunziato dai profeti, nato dal frutto del seno di Davide, Emmanuele, messaggero del gran disegno del Padre (cfr. Is. 9, 5 sec. la traduzione greca), per mezzo del quale fece spuntare l’Oriente, il Giusto sulla casa di Davide, sollevò il corno della sua salvezza (cfr. Lc. 1, 78), suscitò una testimonianza in Giacobbe (Sal. 77, 5). Davide da le ragioni della sua incarnazione: «Stabilì una legge in Israele, perché fosse conosciuta dalla generazione successiva, dai figli che nascerebbero da essi, e si pongano anche questi a raccontarla ai loro figli e pongano in Dio la loro fiducia e seguano i suoi precetti» (Sal. 77, 5-7).

Così pure l’angelo dando la lieta notizia a Maria, dice: «Costui sarà grande e sarà chiamato Figlio dell’Altissimo e il Signore gli darà il trono di Davide suo padre» (Lc. 1, 32) identificando il Figlio dell’Altissimo e il figlio di Davide.

III, 16,4 – Anche Simeone, che «aveva ricevuto dal Signore l’oracolo che non sarebbe morto prima di vedere il Cristo» Gesù, prendendo in mano il primogenito (Lc. 2, 7) della Vergine benedisse Dio dicendo: «Ora lascia andare il tuo servo, o Signore, secondo la tua parola, in pace, perché i miei occhi hanno visto il tuo Salvatore, da te presentato davanti a tutti i popoli, luce rivelatrice ai pagani e gloria al tuo popolo Israele» (Lc. 2, 26ss). Nel bambino che tiene in braccio, Gesù nato da Maria, egli riconosce il Cristo, Figlio di Dio, luce degli uomini e gloria dello stesso Israele, pace e refrigerio di coloro che si riposano (nella morte).

Di fatti già spogliava gli uomini, togliendo loro l’ignoranza e comunicando loro la sua gnosi e divideva (distinguendoli dagli altri) coloro che lo conoscevano, secondo la parola d’Isaia: «Mettigli nome: Veloce – depreda, rapido – dividi» (8, 3); questa, infatti, è l’opera di Cristo.

Era dunque il Cristo che Simeone portava benedicendo l’Altissimo, che i pastori videro e ne glorificarono Dio, che Giovanni ancora nel ventre di sua madre salutò con allegrezza riconoscendo il Signore ancora nel seno di Maria, che i Magi videro e adorarono offrendo i doni che abbiam detto e rendendo omaggio all’eterno re, dopo di che ritornarono per altra via, cioè più per quella di Assiri, perché «prima che il fanciullo sappia dire papà o mamma avrà in mano la potenza di Damasco e le spoglie di Samaria contro il re degli Assiri» (7s. 8, 4). Questo dimostra come il Signore in modo misterioso, ma potente, trionfava di Amalec (cfr. Es. 17, 16 greco).

Per questa ragione, ancora, rapiva i fortunati fanciulli della casa di Davide, nati in quel tempo, per mandarli avanti nel suo regno. Essendo egli bambino si procurò dei testimoni bambini; infatti, secondo la Scrittura, fu a causa di Cristo nato in Betlemme di Giudea nella città di Davide che essi furano uccisi.

III. 16, 5 – È ancora per questo motivo che il Signore diceva ai due discepoli dopo la sua resurrezione: «O stolti, lenti di cuore a credere ciò che i profeti hanno detto! Non era forse necessario che il Cristo patisse per entrare nella sua gloria?» (Lc. 24, 25s). Ai discepoli dice ancora: «Queste sono le parole che vi ho detto quando ero ancora con voi: è necessario che si compia tutto ciò che è scritto nella Legge di Mosè, nei profeti e nei salmi a mio riguardo. Allora dischiuse loro la mente perché comprendessero le Scritture e disse loro: Sta scritto che il Cristo patirà e risorgerà da morte e sarà predicata nel suo nome la remissione dei peccati a tutte le nazioni» (Lc. 24, 44-47). Si tratta certamente di colui che è nato da Maria perché «è necessario che il figlio dell’uomo patisca e sia condannato e crocifisso e risorga il terzo giorno» (Lc. 9. 22: Mc. 8, 31).

Il vangelo non conosce, dunque, altro figlio dell’uomo che quello che nacque da Maria e patì e non certo un Cristo che sarebbe volato via da Gesù prima della passione: conosce solo Gesù Cristo, nato (da Maria), Figlio di Dio. il quale ancora risorse dopo la sua passione.

Lo stesso afferma pure Giovanni, discepolo del Signore, dicendo: «Queste cose sono state scritte perché crediate che Gesù è il Figlio di Dio e credendo otteniate la vita eterna nel suo nome» (Gv. 20, 31). Egli prevede in anticipo tali teorie blasfeme che, quanto a loro, dividono il Signore dichiarandolo composto di questa e quella sostanza. Contro costoro ci attesta nella sua lettera: «Figlioli, è l’ultima ora e, come avete udito delle circostanze della venuta dell’Anticristo, molti si sono fatti Anticristi: questo è il segno che siamo nell’ultima ora. Uscirono dalle nostre file, ma non erano dei nostri, perché se fossero stati dei nostri, sarebbero rimasti con noi; ma questo è appunto un segno che non sono dei nostri. Sappiate che nessuna menzogna viene dalla verità e chi è mendace se non chi nega che Gesù è il Cristo? Ecco l’Anticristo!» (I Gv. 2, 18-22).

 

S. IRENEO DI LIONE, Contro le eresie, vol. I, (P. Vittorino Dellagiacoma edd), Siena, 1968³, 296-301.



[1] L’insegnamento di sant’Ireneo dovrebbe far riflettere un certo mondo teologico protestante e cattolico che, col pretesto di un’indagine storico-esegetica più scientifica, separa in modo nestoriano il “Gesù di Nazareth, o Gesù terreno” dal “Cristo della gloria”, scivolando (consapevolmente o inconsapevolmente?) non solo nell’eresia ma in una vera e propria apostasia.

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