mercoledì 5 dicembre 2012

Monaci irlandesi del prof. E. Farinella

 
 

Monaci Irlandesi

Del prof. Enzo Farinella

 

La storia del monachesimo irlandese, da San Patrizio e San Declan, gli iniziatori di questo movimento, agli “itineranti” per Cristo, è quanto mai affascinante. Nel VI secolo d.C., l’abate di Iona (Scozia), Adamnam (624-704), in De locis sanctis 3, 6, 1-3, scrive come il monaco Arculf, di passaggio da Catania, abbia visto il fuoco del vulcano e sia rimasto colpito dal borbottare dell’Etna, che faceva tremare tutta la Sicilia. Troviamo monaci irlandesi dappertutto nel mondo allora conosciuto, in Inghilterra, Scozia, Francia, Svizzera, Belgio, Italia, Ungheria, Russia, Islanda, Groenlandia e America. Le loro qualità, soprattutto la conoscenza della lettura e dell’editoria, permisero loro di divenire consiglieri in grandi posti di responsabilità, come alla Corte di Carlo Magno, fondatori di monasteri, università (insegnanti ed educatori) e città, editori e molto rispettati in altri campi.

Sembrerebbe che dal IV secolo, l’area dell’Irlanda meridionale di Wexford e Waterford soprattutto, sia stata un rifugio per cristiani, trovandosi così vicina al confine intereuropeo. Non sappiamo esattamente quando i primi cristiani siano arrivati in Irlanda. È più che probabile che commercianti o missionari vi abbiano introdotto il messaggio di Cristo. Documenti vescovili e l’insediamento monastico di Ardmore, fondato da San Declan, minimo un secolo prima della venuta di San Patrizio, lo dimostrerebbero.

Secondo la tradizione, il cristianesimo poteva essere abbastanza consolidato in Irlanda nel 431, quando, come scrive nelle sue cronache romane Prospero d’Aquinate, Palladius, ordinato vescovo da Papa Celestino, è stato mandato agli “irlandesi che credevano in Cristo” per proteggerli dall’eresia o dall’umanismo di Pelagio. Quest’ultimo non teneva in molta considerazione il peccato originale e sosteneva che il proprio destino stava nella libertà personale e nel potere dell’uomo. Egli credeva che la natura umana era essenzialmente buona, anche se concepita in qualche modo nel peccato. La sua ottimistica credenza in un Dio amante e benevolo gli propiziò molti seguaci. Comunque egli venne attaccato furiosamente da S. Geronimo nelle sue lettere (415-416), come asserito nei suoi Commentari alle Lettere di San Paolo.

Un anno dopo Palladio, San Patrizio è approdato in Irlanda, prima come pastorello-schiavo sulle colline di Antrim, nel Nord Irlanda, poi come il grande Santo che tutti conosciamo. Assoggettato da un uomo rude e senza scrupoli, chiamato Miliucc, Patrizio visse per sei anni nella solitudine delle montagne, a contatto con la natura che poco a poco lo riportò a Dio. Una notte in sogno sentì una voce che lo invitava a partire, fuggendo dal giogo di quell’uomo rude. La seguì. Raggiunse la sua famiglia in Inghilterra, dove di nuovo in un altro sogno si sentì chiamare a divenire l’apostolo degli irlandesi. Si recò allora all’isola di Lering, vicino Cannes, e studiò per oltre 30 anni a Auxerre, prima di essere ordinato vescovo e di tornare in Ilanda, predicando la libertà per tutti e l’abolizione della schiavitù. Patrizio convertì anche il suo antico rude padrone e la maggior parte della popolazione dell’isola, spodestando i Druidi. Il suo lavoro portò grandi frutti. Il monachesimo fiorì nell’isola.

Così, subito dopo il crollo dell’Impero Romano, 476 d.C., in un’Europa confusa e sconvolta da decadenza di valori morali, invasioni barbariche e carestie, dall’Irlanda parte, con i suoi monaci, un’ondata di rienvangelizzazione e rinascita morale e culturale, che diventerà presto un’opera di unificazione spirituale e civile dell’intera Europa. Sotto la guida dei monaci le popolazioni europee ritornarono a lavorare, a coltivare la terra, a leggere e scrivere. Il monastero diventa luogo di fede e di incontro tra la gente.

Il movimento monastico irlandese, pari a quello di San Benedetto, segnò il corso della storia, della cultura, dell’arte, fornendo un contributo determinante per la rinascita della civiltà europea. I monaci irlandesi come San Colombano o San Cataldo, che portarono in Italia uno stile irlandese di cristianesimo - ebbero un importante ruolo nel preservare il patrimonio culturale indigeno e nello svilupparlo durante l’assopimento dell’Europa medioevale.

Essi seguirono nuove vie per la loro vita, lasciandosi dietro agi e piaceri della comune società. Boschi, cime di montagne o isole solitarie sono divenuti la loro dimora per studiare le Scritture e comunicare con Dio. Seguivano così l’esempio degli anacoreti del deserto, che avevano intravisto una nuova forma di santità vivendo in solitudine in eremitaggi isolati, facendo fronte a ogni genere di avversità fisica e psicologica e imponendo su se stessi digiuni e penitenze eroici - tutto questo per essere più vicini a Dio.

Ciò avveniva alla fine del V secolo e all’inizio del VI, San Mancan, convertito da S. Patrizio, ci ha lasciato una grafica descrizione di questo nuovo movimento, elencando i bisogni dei monaci:

1. Un eremitaggio solitario con accanto una “piccola fontana, dalle acque chiare, dove tutti i peccati vengono purificati dalla grazia santificante”

2. “Un boschetto piacevole”, ben protetto dai venti, “con un ruscello”, possibilmente ricco di salmoni e trote

3. “un orticello ben rasato con terra molto fertile, buona per ogni tipo di frutti”, come porro, pollame, selvaggina e api.

Subito dopo all’eremita tipico si aggiunsero altre persone, desiderose di sedere ai piedi del maestro. 12 ne venivano ammesse in questo nuovo monastero, a imitazione dei 12 Apostoli di Cristo. Così l’umile eremita, che cominciò chiedendo tanto poco, divenne l’abate di un monastero di uomini che vivevano in piccole capanne come alveari, intorno a una chiesa convenzionale, “dove sulla pagina bianca del Vangelo, brillano le candele del Vangelo”.

Questa l’origine del monachesimo irlandese. I monaci vivevano da soli, ma si riunivano per cantare Salmi ad ore precise, incluso alzandosi due volte ogni notte. Durante il giorno essi studiavano, lavoravano la terra, pregavano e copiavano libri. Dato che non esistevano città allora in Irlanda, questi centri monastici sono divenuti presto i primi centri abitati, che si distinguevano per prosperità, arte e insegnamento. In pratica i monaci costruirono quelle che sarebbero divenute nel tempo cittadelle universitarie, vere oasi di pace e preghiera, meditazione e contemplazione, apprendimento e insegnamento. Studenti, provenienti dall’Irlanda e da varie parti d’Europa, vi hanno trovato posto. Nessuno, che voleva saperne di più sulla bellezza e sacralità del mondo o che voleva dedicarsi a una vita più austera, veniva rifiutato. Nobili e gente comune hanno ricevuto il benvenuto, scrive il Venerabile Beda.

Così, mentre l’Impero Romano andava in sfacelo, come Thomas Cahill ha scritto nel suo libro How the Irish saved civilization - Come gli irlandesi hanno salvato la civiltà - letteratura e cultura fiorivano in Irlanda in posti come Armagh, Inis More (la più grande delle Isole Aran), Kildare (dove S. Brigide fondò due monasteri), Clonard, Clonmacnoise, Bangor, Clonfert, Durrow, Derry, Glendalough e Lismore. I monaci irlandesi crearono importanti centri di sapere e di irradiazione culturale nella loro patria e anche all’estero. Installatisi in posti di scuole druidiche o in centri di culto pagano, essi hanno facilitato non poco il passaggio dal mondo pagano, di cui loro stessi erano un’espressione, al nuovo mondo della fede cristiana. In quasi tutti i centri monastici irlandesi è brillata, attraverso i secoli, ininterrottamente fino alle “Leggi penali”, la fiamma di una candela, simbolo di fede e faro-guida per tutti.

I monaci non solo pregarono, studiarono e insegnarono in simili centri, ma anche raccolsero poemi epici, storie d’amore, elegie della vita giornaliera, trasmesse oralmente per secoli, proprie della cultura indigena celtica, essenzialmente una cultura pagana. Da questi posti l’Europa ha ricevuto di nuovo cultura e valori e questo tramite i tanti studenti stranieri che frequentavano l’isola e anche tramite i tanti monaci che stavano invadendo spiritualmente il mondo. Columcille si recò a Lindsfarne (Northumbria/Scozia) e poi in Islanda; Brendan, il navigatore in Groelandia e Nord America e molti altri come Colombano, Cataldo, Fredriano, Donato e Gall si sono recati in Europa, dove fondarono monasteri che sarebbero divenuti città, come Bobbio, Fiesole, Lucca, Lumièges, Auxerre, Laon, Luxeuil, Liège, Trier, Wurzburg, Regensburg, Rheinau, Reichenau, Salzburg e Vienna. La visione di S. Patrizio sull’importanza della cultura trasformò i primi cristiani irlandesi nei primi letterati irlandesi.

La letteratura latina sarebbe andata sen’altro perduta senza l’opera dei monaci irlandesi. “Il peso dell’influenza irlandese nel continente”, scrive James Westfall Thompson, “è incalcolabile. La maggior parte dei commentari biblici tra il 650 e l’850 sono stati scritti da irlandesi. Essi elaborarono autentici capolavori di calligrafia, come il Libro di Kells, il manoscritto forse più bello del mondo, prodotto tra l’VIII e il IX secolo. Eccelsero anche in altre arti, altamente pregiate, come scultura, rilievi in metallo, croci, calici, casse dove conservare libri, ecc. L’arte ornamentale raggiunse il culmine nell’Irlanda pagana e cristiana con produzioni in metallo - l’oro compare nei gioielli e nella placcatura delle armi e con esso l’argento e altri elementi pregiati. Oggi Dublino può vantare in uno dei suoi musei la più ricca collezione di ornamenti in oro, esistente in Europa, nonostante le razzie dei vichinghi”.

I monaci divennero anche "vagabondi" per Cristo. Dalla fine del secolo VI in poi l’Irlanda si predispose a restituire al mondo il dono della fede che aveva ricevuto. I suoi monaci, seguendo l’ideale di Peregrinatio pro Christo, cominciarono a diffondersi nell’Europa, devastata dalle varie invasioni di Goti, Visigoti, Ostrogoti e a riconquistare intere regioni alla fede cristiana come in Francia, Olanda, Baviera, Svizzera e anche nella nostra Italia. Il loro zelo e la loro fede erano tali che essi vivevano per riportarli nelle altre parti d’Europa. In molti hanno lasciato la loro terra senza sapere dove andavano. Come San Paolo essi venivano spinti dall’amore per Cristo, pieni di fiducia nella mano provvidenziale di Dio che li avrebbe guidati dove Lui voleva. Tra questi Colombano, l’apostolo dell’asceticismo irlandese e fondatore di Bobbio e considerato come uno dei più grandi europei dei suoi tempi, è una figura monumentale. Killian ha lasciato Mullagh nella Contea di Cavan per Wuerzburgh; Colomcille, Derry per Iona nella Scozia; Fursa, visionario, si recò dall’Irlanda in Inghilterra, poi a Lagny, ad Est di Parigi, poi a Peronne, conosciuta nel tempo come Peronna Scottorum, Peronne degli irlandesi e la città. Cataldo, anch’egli figlio dell’Irlanda, ha lasciato Clogheen per stabilirsi alla fine delle sue peregrinazioni e del suo viaggio in Terra Santa, a Taranto, come vescovo. Ancora oggi è molto venerato in tutta l’Europa, incluso 100 città d’Italia, soprattutto nel Meridione, e conosciuto come San Cataldo. Dovremmo ricordare anche Brendano, un altro monaco irlandese, che, sembra, abbia raggiunto l’America secoli prima di Cristoforo Colombo. Egli ispirò con la sua Peregrinatio Brendani, il desiderio di nuove conquiste.

Le Isole Aran furono sede anche di insediamenti monastici importanti. Allora il sogno più grande per un monaco del VI, VII, VIII e IX secolo, era quello di diffondere la fede fuori dell’Irlanda. Così Gall, un monaco con cui Colombano ha avuto un bisticcio, ha fondato il monastero di S. Gall sulle Alpi. È divenuto la figura centrale nella formazione della chiesa svizzera. Nel 615, mentre Colombano moriva, qualcuno bussò alla sua porta - confratelli di Bobbio erano venuti portandogli il pastorale abaziale di Colombano, quale sua scusa e riconoscimento implicito che Gall, morto nel 645, era il migliore dei suoi figli spirituali.

Un altro Monaco irlandese Dungalo, lavorò con Alcuino - che nel 782 divenne Presidente della Scuola Palatina, la futura università di Parigi - alla corte di Carlo Magno e si conquistò la stima e la fiducia del sovrano. Egli venne da questi inviato a Pavia (la capitale dei Longobardi e poi dei Franchi in Italia) a dirigere la locale Scuola Palatina. Scuola poi confermata dal re Lotario come la più importante del Regno, alla quale dovevano accedere per gli studi superiori i giovani di Milano, Bergamo, Brescia, Novara, Lodi, Asti, Tortona, ecc. – “In Pavia conveniant ad Dungalum”, come stabiliva il Capitolare e presieduta da Dungalo. L’odierna Università di Pavia continua a riconoscere le proprie lontane origini ad ogni nuovo inizio di anno accademico. In questo senso si può dire che un dotto irlandese si incontra ai primordi della sede universitaria pavese e dell’istruzione superiore nel Regno d’Italia dell’alto medioevo. Un aspetto molto interessante è che Dungalo, al termine della sua attività di insegnamento, decise di ritirarsi a Bobbio presso il monastero del suo compatriota San Colombano. Alla cui biblioteca lasciò morendo i suoi libri e sono stati individuati una trentina di codici già appartenuti a Dungalo).

Prima della fine dell’VIII secolo, monaci irlandesi raggiunsero Modra in Moravia adesso nella Repubblica Slovacca, a 30 km a Nord di Bratislava. I ruderi di un vecchio muro di un’antica chiesetta, accanto alla caserma della polizia di Modra e la vicina piccola cittadina di Malacky sembramo parlare della presenza di monaci irlandesi in questa parte dell’Europa centrale. Di essi esistono tracce anche a Kiev. Un altro importante irlandese era John Scoto Eurigena. La cui figura è stata a lungo ritratta sulle banconote delle cinque sterline irlandesi. Dominò la scena filosofica europea dal IX secolo in poi e si impose come uno dei migliori studiosi di autori greci e latini. Insieme a Sedulius Scotus, un altro irlandese, egli fu una figura centrale nel grande rinascimento che ebbe luogo in Francia sotto Carlo il Calvo. Eurigena parlava greco e latino. Fu poeta, capace di scrivere versi anche in greco, pensatore originale, filosofo e teologo.

Anche nell’XI e XII secolo i monaci irlandesi hanno dominato. Dovunque essi andarono, hanno portato con loro l’amore per la cultura, i loro libri, legati al dorso, e la loro specializzazione nel creare libri. Nelle baie e nelle valli, essi ristabilirono la cultura e iniettarono nuova vita nell’esausta cultura letteraria dell’Europa. Essi divennero anche gli editori della nuova Europa. Molti classici sarebbero andati perduti se non fosse stato per il paziente lavoro di tali monaci nella loro patria e all’estero, come ha dimostrato il Rinascimento. I codici di questi miniatori e il loro stile di scrivere formarono il tesoro delle più importanti biblioteche europee, incluso l’Ambrosiana di Milano. E così gli irlandesi hanno salvato la civiltà, come nel suo libro scrive giustamente Thomas Cahill. Essi, con la loro opera, resero un grande servizio alla storia e alla cultura europea in genere, affermandosi come i veri protagonisti della cultura medioevale europea. Poggio Bracciolini, il principe dell’umanesimo fiorentino, scoprì nelle biblioteche dei monasteri di Cluny e di San Gallo, molte orazioni di Cicerone del tutto nuove, l’Argonautica di Flacco, le Silvae di Stazio e un Quintiliano integro.

Anche donne irlandesi si riversarono in Europa. Le chiese dedicate a S. Brigida in Francia, Germania, Austria, Italia ne danno ampia evidenza. Ad Amay in Belgio è stato anche scoperto nel 1977 un sarcofago, con ornamenti celtici, contenente il corpo di una donna (misteriosamente chiamata S. Crodoara), con un pettorale vescovile.

Nel marzo 1973, poche settimane dopo l’entrata dell’Irlanda nel MEC o Unione Europea, i vescovi irlandesi scrissero in una Lettera pastorale: “Anche se la nostra è una piccola nazione, noi non siamo mai andati in Europa mendicando con il berretto in mano, ma vi siamo andati ai tempi di San Colombano e San Cataldo con la testa alta, perché avevamo molto da dare e portare. L’Irlanda non è mai stata una grande potenza europea politicamente o economicamente. Questo non è uno svantaggio. Il fatto che non siamo mai stati una potenza coloniale ci rende oggi accetti nelle varie parti del mondo dove forze dell’ONU vengono richieste per missioni di pace. La nostra parte in Europa è stata sempre da un punto di vista spirituale e culturale più che politico o economico: una voce che si leva a favore di valori perenni e della speranza cristiana”.

Così i monaci irlandesi furono veramente al centro della nuova vita cristiana dell’Irlanda e dell’Europa. Il contributo dato dai monaci irlandesi alle varie nazioni europee è enorme. Essi hanno portato valori perenni e speranza cristiana in un mondo decadente e questo non è poco per una piccola nazione come l’Irlanda.

 

Nessun commento:

Posta un commento