sabato 1 dicembre 2012

Dal "De gubernatione Dei" di Salviano di Marsiglia

 
“Nabucodonosor, il grande re, / Fortuna tale ebbe in sorte che poté / Arpacsàde travolgere e finire, / Il cui dominio era tale da coprire / La terra fino al confine del mare; / ma dopo volle come Dio regnare, / E in bestia si mutò, e fu gran portento; /……./ Pochi son morti, oggi, domani e ieri, / Tranquillamente sopra il proprio letto / Dei grandi che pur ebbero il diletto / Del potere, e finirono ammazzati. / Attenti dunque, sovrani coronati: / Legati siete di Sorte alla ruota! / E che la sposti Dio basta d’un iota, / Perché sia certa la vostra caduta. / Iddio servite, e sia da voi temuta / La Sua ira tremenda, che potrà / Accendersi a ogni istante, e crollerà / Il vostro impero, e travolti sarete. / D’Ission la ruota mai ferma vedrete, / Ché ad ogni soffio si muove di vento. / Beato chi al volere è di Dio attento! /…” . (Sebastian Brant, La nave dei folli)


Dal De gubernatione Dei di Salviano di Marsiglia

(Gub., 4,6,30-31; 5,4,17-18; 5,7,28-29.31-32)
 

Moltissimi sono i ricchi di cui i poveri pagano le imposte. Mi spiego: moltissimi sono i ricchi le cui imposte uccidono i poveri. E quando dico «moltissimi» temo che - ad onor del vero - dovrei dire «tutti». (...) Ecco a cosa hanno portato i provvedimenti fiscali adottati recentemente in alcune città: a nient’altro che ad esentare tutti i ricchi, e a far gravare il fardello delle imposte sui miseri; a togliere agli uni vecchi canoni, e a caricarne sugli altri di nuovi; ad arricchire gli uni con la diminuzione delle tasse - anche le più leggere - e ad affliggere gli altri con l’aumento delle più pesanti. (...) Di qui constatiamo che non c’è nulla di più scellerato del comportamento dei ricchi, che con i loro provvedimenti fanno morire i poveri, e non c’è nulla di più infelice della condizione dei poveri, che vengono uccisi da quello che è stato adottato come provvedimento per tutti.

(...) Moltissimi si vedono confiscati i beni dai pochi, che considerano l’esazione pubblica delle imposte una preda di loro appartenenza e fanno dei titoli del debito fiscale una personale fonte di lucro. A comportarsi così non sono soltanto quanti si trovano alla sommità della gerarchia, ma anche gli ultimi subalterni; non solo i giudici, ma anche i loro subordinati. Quali sono le città e, persino, i municipi e i villaggi ove i curiales non sono tiranni pubblici? Eppure essi si compiacciono probabilmente di tale appellativo, che sembra loro espressione di potenza e di onore. (...) Qual è il luogo - dicevo - in cui i primi cittadini non divorano le viscere delle vedove, degli orfani e, regolarmente, di tutti i santi? (...)

(...) L’unico motivo per cui i miseri non ce la fanno a sopportare il carico delle imposte è che esso supera ogni loro possibilità. (...) Chi potrebbe stimare una simile ingiustizia? Essi pagano come fossero ricchi, e vivono nell’indigenza dei mendichi. Ma c’è di più: i ricchi inventano talora imposte supplementari, e a pagarle sono i poveri. (...) Dinanzi a voi ricchi, noi poveri cediamo alla vostra volontà! Ma quel che voi - pochi - ordinate, paghiamolo tutti! Che ci sarebbe di tanto giusto, di tanto umano? Con le vostre decisioni ci gravate di nuovi debiti: fate almeno che tali debiti siano comuni a voi e a noi! Cosa può esserci di più iniquo e di più indegno del fatto che ad essere esentati dal pagarli siate soltanto voi, che rendete debitori tutti gli altri? E così i poveri - miseri davvero - pagano tutto quello di cui ho detto, e non sanno assolutamente la causa e la ragione per cui pagano!

 

Da: G. BOSIO E. DAL COVOLO M. MARITANO, Introduzione ai Padri della Chiesa. Secoli IV e V, Torino, 1995, 326-327.

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