venerdì 28 dicembre 2012

Dal "Commento al Padre nostro" di san Massimo il confessore

 


Dal Commento al Padre nostro di san Massimo il confessore
 

            Il Verbo di Dio fatto carne ci insegna la teologia, in quanto mostra in sé il Padre e lo Spirito Santo, poiché tutto il Padre e tutto lo Spirito Santo erano essenzialmente e perfettamente in tutto il Figlio incarnato. Non perché si fossero incarnati, ma l’uno compiacendosi e l’altro collaborando con il Figlio che attuava la propria incarnazione. Poiché il Verbo continuava a essere dotato di mente e di vita e non era comprensibile secondo l’essenza assolutamente a nessuno se non al Padre e allo Spirito. È infatti secondo l’ipostasi che egli, per amore degli uomini, ha effettuato l’unione con la carne.

            Egli ci dà poi la filiazione divina, donandoci la generazione e con la con-deificazione soprannaturale dall’alto, mediante lo Spirito, nella grazia. La difesa e la custodia in Dio di tale stato dipende poi dalla determinazione volontaria dei generati, che ami con sincera disposizione la grazia donata e, con la pratica dei comandamenti, si dia premura di rendere più fulgida la bellezza data per grazia. Tale determinazione volontaria, svuotando dalle passioni, tanto si appropria della divinità, quanto il Verbo di Dio, svuotandosi volontariamente della sua purissima gloria, conforme all’economia, veramente divenne e fu detto uomo.

            Egli ha poi reso gli uomini pari agli angeli. Non soltanto pacificando mediante il sangue della sua croce… le cose che sono nei cieli, e quelle che sono sulla terra (Col 1, 20), annientando le potenze avverse che riempivano lo spazio tra il cielo e la terra, unendo le potenze del cielo e della terra in un’unica assemblea festosa alla quale partecipare i suoi doni divini, così che la natura umana facesse risuonare la lode della gloria di Dio, esultando in una sola e identica volontà con le potenze dell’alto; non soltanto questo, perché egli, compiuta la sua economia per noi, ascendendo con il corpo che aveva assunto, ha unito mediante se stesso cielo e terra, ha congiunto le realtà intellegibili e quelle sensibili, e ha rivelato la natura creata una nelle sue parti estreme, tutta in sé connessa mediante la virtù e la conoscenza della Causa prima. Con ciò che egli misticamente compie, io penso che egli mostri come il Logos sia l’unione di ciò che è diviso, e la mancanza di logos, la divisione delle cose unite. Impariamo dunque ad appropriarci con la pratica del Logos così da unirci non solo agli angeli per virtù, ma anche a Dio nella conoscenza, distaccandoci dagli esseri.

            Egli ci dà poi di partecipare alla vita divina, rendendo se stesso cibo, in un modo che sa lui e che sanno quelli che da lui hanno ricevuto una tale percezione intellettuale, così che, gustando questo cibo, sanno di vera conoscenza che buono è il Signore, egli che fa partecipi quelli che mangiano di una qualità divina per la loro deificazione, poiché egli veramente è e vien chiamato pane di vita e di potenza.

            La restaurazione della natura in sé stessa egli la opera non solo perché, fattosi uomo, custodì la volontà impassibile e tranquilla nei confronti della natura, tanto che essa non fu affatto scossa dal suo stato naturale neppure contro coloro che lo crocifiggevano (al contrario egli per loro scelse la morte anziché la vita, mostrando con ciò la volontarietà della sua passione, stabilita dall’amore per l’uomo di colui che pativa); non solo in tal modo, ma anche perché annientò l’inimicizia, inchiodando alla croce la condanna scritta del peccato – che provocava nella natura una spietata guerra contro sé stessa; e, chiamando i lontani e i vicini – cioè quelli che erano sotto la legge e quelli che ne erano fuori – abbatté il muro di mezzo della divisione, cioè spiegò la legge dei comandamenti con i suoi decreti, dai due creando un solo uomo nuovo, facendo la pace e riconciliandoci mediante sé stesso al Padre e fra di noi. Così che la nostra volontà non sia più in contrasto con la ragione della natura, ma che noi siamo resi immutabili sia rispetto alla natura che alla volontà.

            Egli rende pura la natura dalla legge del peccato, non permettendo che il piacere presieda alla sua incarnazione per noi. Il suo concepimento infatti avvenne straordinariamente senza seme e la sua nascita soprannaturalmente, senza corruzione. Dio cioè, mentre veniva partorito, ancor più, oltre la natura, stringeva il vincolo della verginità della madre sua con la nascita e liberava tutta la natura dal potere della legge che la dominava, in quelli che lo vogliono e che mortificano nella percezione sensibile le loro membra terrestri, a imitazione della sua morte volontaria. Il mistero della salvezza infatti è di chi lo vuole: non si impone come una tirannide.

            Egli distrugge la tirannide del Maligno che si era impadronito di noi con l’inganno: gli getta contro, come arma, la carne vinta in Adamo, e così lo vince. Mostra in questo modo come la carne, che prima era stata catturata dalla morte, cattura colui che l’ha catturata e, con la morte della natura, distrugge la vita di quello: la carne fu per lui come un veleno, che gli fece vomitare tutti quelli che era stato capace di ingoiare, per la forza della morte che possedeva; fu invece vita per il genere umano, come un lievito che sospingeva tutto l’impasto della natura umana alla risurrezione di vita. Poiché per essa soprattutto – cosa veramente mirabile a udirsi! – il Verbo, essendo Dio, diventa uomo, e volontariamente accetta la morte della carne.

 

 

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