giovedì 22 novembre 2012

san Michele al pozzo bianco


La chiesa di “san Michele al pozzo bianco”

 

Le prime prove documentate dell’esistenza di questa chiesa risalgono al 774 e si trovano nel famoso “testamento di Taidone”, nel quale sono riportati tutti i lasciti che questo personaggio longobardo destinò alle varie chiese della città, tra le quali la “Basilica di S. Arcangelo Michele fuori le mura della città di Bergamo”. Essa, quindi, esisteva certamente prima di quella data, cosa che fa di questa stupenda, piccola chiesa una tra le più antiche di Bergamo, se non la più antica in assoluto. Il ritrovamento nella zona di una lapide dedicata a Vulcano porrebbe far pensare a un preesistente tempio pagano, sul quale forse fu edificata la chiesa originaria, che corrisponderebbe all’attuale cripta o “scurolo”. Pare ormai certo che la consacrazione della chiesa sia avvenuta nell’801 ad opera del Vescovo di Reims. In alcuni documenti del 905 troviamo, per la prima volta, l’appellativo “del Pozzo Bianco”, del quale sono state molte ipotetiche spiegazioni, ovviamente tutte legate alla presenza dell’acqua nelle vicinanze.

Una pietra circolare posta alla base del sagrato indica il luogo dove sorgeva l’antico pozzo, detto “Bianco” per il colore dell’anello di pietra che ne circondava la bocca. Prima della costruzione delle mura venete, questa chiesa era a capo di una “vicinia” che si estendeva oltre l’attuale tracciato delle mura; fu parrocchia per molti anni e solo nel 1805 venne definitivamente annessa alla Parrocchia di Sant’Andrea Apostolo. L’attuale struttura non è quella originale, di cui rimangono probabilmente solo parte della cripta, del muro esterno ad archetti romanici e poco altro, ma risale al quattrocento e ha subito nei secoli numerose modifiche: nel 1901 furono eliminate alcune aggiunte di epoca barocca, tra cui un altare posto nella seconda campata di destra, mentre nel 1915 venne eseguita la facciata in pietra viva, in stile lombardo, che vediamo ancora oggi. Nel 1928 furono restaurati gli affreschi di Lorenzo Lotto posti nella cappella di sinistra mentre i lavori eseguiti negli anni 1941-42 portarono alla luce molti altri dipinti, sia nella Chiesa che nella Cripta. La facciata, così come si presenta ora, risale agli inizi di questo secolo. Precedentemente il suo aspetto, come quello del caratteristico sagrato in pendenza, era molto diverso. A fianco della chiesa si trova la “Casa del Vicario”, nella quale aveva sede la Corporazione di San Michele. Gli affreschi cinquecenteschi che si vedono sulla facciata sono molto deteriorati, nonostante i numerosi interventi di restauro ai quali sono stati sottoposti nell’ultimo secolo. Si può ancora vedere una Madonna in trono, molto bella, che denota un accurato studio della prospettiva, cosa che ha fatto pensare a qualche studioso ad un’influenza bramantesca; ancora in parte visibile è un San Cristoforo, mentre a fatica si possono identificare San Martino che divide il mantello col povero e S. Carlo che dà l’Eucaristia a S. Luigi Gonzaga. La presenza della figura di San Cristoforo sulle pareti esterne delle chiese, soprattutto di quelle poste su grandi vie di comunicazione, era molto frequente, essendo il santo protettore dei viandanti. La casa, di proprietà della famiglia Bonghi, nella quale abitò intorno al 1520 Lorenzo Lotto, autore di stupendi lavori in questa chiesa, era situata nel vicoletto a destra della scaletta ed è ora in parte inglobata nel vicino pensionato delle suore Orsoline di Gandino. I lavori di abbattimento della scaletta e di chiusura del vicolo ebbero inizio il 17 maggio 1909. Alla chiesa si accede attraverso un androne, all’interno del quale si può notare, sistemato in un’edicola, un affresco quattrocentesco raffigurante una Madonna col Bambino. La chiesa è a pianta rettangolare, con un perimetro non perfettamente regolare; la navata è divisa in tre campate da due ampi arconi ogivali quattrocenteschi aggiunti a strutture preesistenti, che sostengono il tetto a capanna a travi di legno; la pavimentazione è in cotto. Ci sono tre cappelle di testa di cui quella centrale, con volta a crociera, ha dimensioni doppie rispetto alle due laterali; tutte e tre sono rialzate rispetto al pavimento e chiuse da inferriate seicentesche. A quella principale si accede attraverso tre gradini e da due finestrelle poste lateralmente a questi si può intravedere l’interno della cripta sottostante raggiungibile tramite una scala posta nella seconda campata di sinistra. Una scala parallela, ora scomparsa, collegava alla cripta anche la seconda campata di destra, dove fino al 1901 si trovava l’altare barocco ora nello scurolo. La porta che si trova nella terza campata di sinistra immette nella sagrestia, composta da tre vani che corrono paralleli alla parete sinistra della chiesa. La porta difronte conduce a un locale longitudinale adibito a ripostiglio. L’altare rivolto al popolo e posto alla base della cappella centrale reca sul fronte un paliotto barocco di legno dorato dello stesso stile dell’altare principale. Questa chiesa è un vero e proprio scrigno: contiene alcuni tra gli affreschi più antichi della nostra provincia e altre opere d’arte. Gli amanti dell’arte la considerano un’eccezionale lezione di storia della pittura nella nostra città, dai primissimi anni del ‘200 fino alla fine del ‘500. Nel lato inferiore l’affresco è delimitato da un fregio composto da festoni di frutta e figure di angeli musicanti, tipicamente rinascimentali. Il quadro di destra mostra una raffigurazione inconsueta, che vede la presenza contemporanea della Madonna in trono col Bambino e del Crocifisso; a destra c’è la figura di S. Antonio da Padova. Scendendo la scala che si trova nella seconda campata di sinistra si accede allo scurolo dedicato a San Cristoforo, che veniva solennemente festeggiato, fino ai primi anni del ‘900, il 7 gennaio di ogni anno.

Alcune parti dello scurolo appartengono con ogni probabilità all’antica originaria chiesa che ha subito molti rimaneggiamenti nel corso dei secoli, come dimostrano il vano che si intravede da una piccola apertura a destra della scala e la colonna con capitello, che sono parte della struttura più antica. A sinistra della scala si trova un vano rettangolare con un unico affresco, del tardo Quattrocento, con tre figure femminili: si tratta di S. Margherita, S. Apollonia e S. Lucia. Non se ne conosce con certezza l’autore, anche se alcuni studiosi ipotizzano possa trattarsi dello stesso artista che dipinse nel 1496 il San Donnino sul primo pilastro di sinistra della chiesa superiore e nel 1499 il grande trittico sulla parete di fondo del vano centrale di questo scurolo. In fondo al corridoio, all’ingresso della scala chiusa intorno al 1798 per dare spazio all’altare in onore della Madonna del Buon Consiglio, é stato creato un “sacrario” in pietra, dove veniva smaltita l’acqua benedetta. Il vano minore, detto “nicchione”, è un vano a nicchia con volta a botte rimaneggiato nel 1400 su una struttura preesistente, di cui rimane qualche traccia. La Madonna in trono col Bambino che vediamo sulla parete di fondo, a sinistra della finestra murata, e il San Cristoforo posto a destra della stessa finestra, affreschi degli inizi del ‘200 attribuiti al Maestro di Sant’Anna Metterza, sono certamente tra le più antiche opere presenti sul territorio della bergamasca. Caratteristica è la posizione del Bambino, che siede a gambe incrociate, cosa inconsueta nell’iconografia del tempo. Troviamo la stessa posizione del Bambino nella chiesa di S. Giorgio ad Almenno, proprio nell’immagine conosciuta come “Santa Anna Metterza”. Il secondo affresco raffigura San Cristoforo che cammina nell’acqua reggendo sulla spalla il Bambino. Il Santo è riccamente vestito, ha una corona in testa e intorno ai suoi piedi, immersi in un corso d’acqua di cui il pittore ha saputo cogliere la trasparenza, vediamo addirittura nuotare i pesci. Gli altri affreschi, della fine del ‘400 – inizio ‘500, sono in onore di San Girolamo, dottore della Chiesa, che troneggia nella parete di fondo seduto in cattedra e in abito cardinalizio, anche se il Santo rifiutò, in realtà, il titolo di cardinale. La volta a botte è completamente affrescata; al centro vi é un Cristo sul sepolcro e, alla base, gli altri tre grandi santi dottori, Ambrogio, Agostino, Gregorio, con S. Nicola da Bari. Curioso l’atteggiamento di Ambrogio, che si sta sistemando gli occhiali. Sulle pareti laterali troviamo, di diverso autore, scene della vita di Girolamo: il santo nel deserto, una tentazione e una religiosa inginocchiata davanti a un altare su cui è posto un quadro del Santo. Ogni affresco del nicchione è delimitato da fasce riccamente decorate e da finte lesene: sulla prima a sinistra è riportato lo stemma dei Carrara. Nel vano centrale, l’attenzione è subito attratta dal grande trittico che occupa tutta la parete di fondo, il cui autore potrebbe essere lo stesso che ha dipinto le tre Sante nel vano rettangolare di questo scurolo e il San Donnino della chiesa superiore. Al centro spicca un imponente San Cristoforo; ai lati San Sebastiano e San Rocco. Cristoforo, come nell’affresco duecentesco del nicchione, traghetta il Bambino Gesù ed è rappresentato, secondo la tradizione, come un gigante, forte e possente, con la veste rimboccata nella cinta, mentre trattiene per un piede il Bambino che stringe tra le mani il mondo. Un cartiglio, ancora abbastanza leggibile, recita: “Ego sum lux mundi ... sum via, veritas et vita”.

Completano questo affresco tre tondi, nei quali vediamo Cristo benedicente nella parte alta della finta ancona e, lateralmente, un’annunciazione, con l’angelo a sinistra e Maria a destra. I numeri sopra i capitelli dei pilastri compongono l’anno di esecuzione: 1499. Sulla parete di sinistra vediamo una “Madonna in trono col Bambino e Santi”, di scuola lombarda. I Santi raffigurati sono, da sinistra: Donnino (Defendente), Cristoforo, Sebastiano, Giuseppe, Caterina, la Vergine col Bambino, una santa (Margherita), Rocco, Colombano e Martino che dà il mantello al povero. Le aureole dei santi sono punteggiate in rilievo. La data “l514” ritrovata incisa a destra dell’affresco, in basso, pare potersi riferire a quest’opera. Sulla parete di destra troviamo un altro affresco, con una Madonna in trono e i santi Rocco e Sebastiano. La figura di S. Antonio è posteriore e certamente meno bella.

Un’altra immagine di San Rocco è nascosta dietro l’altare. Nel pavimento sono incastonate alcune pietre tombali.¹ Nell’anno 1941, quando il Vicario della chiesa di S. Michele al Pozzo Bianco, Dott. Don G. Carrara, si accinse con amore ed intelletto a fare col restauratore Cividini ricerche ed assaggi sulle pareti e sulle volte per rintracciare antichi affreschi, non pensava che tali ricerche avrebbero portato a risultati ben superiori a quanto si sperava. I lavori condotti con molta cura e ottimo esito rivelarono infatti, anche se talora frammentate, opere di vari artisti e di considerevole pregio; una Annunciazione trecentesca, una Madonna con Santi del secolo XV, un Cristo risorto con angeli di scuola quattrocentesca lombarda, un S. Michele che trafigge il drago, gli Evangelisti nelle imposte della crociera del presbiterio. Ma ad affermare con diretta conoscenza l’esistenza di una più antica chiesa sotto l’ossatura della quattrocentesca chiesa attuale, gli assaggi rivelarono la presenza di dipinti precedenti di oltre due secoli, di netto carattere bizantino, riconfermando così, come appariva dalla cripta colla scoperta di altri due affreschi di S. Cristoforo e della Vergine col Figlio pure bizantini, la lontana origine del sacro edificio. Notizie storiche su S. Michele del Pozzo Bianco risalgono ai tempi dell’Alto Medioevo. Il nome stesso del Santo a cui la chiesa era dedicata, definisce la sua origine longobarda in quanto quel popolo nordico era particolarmente devoto all’arcangelo Michele. La conferma viene appunto dal fatto che un longobardo Taidone, come appare dal testamento conservato in Biblioteca, lascia nell’anno 774 alcuni suoi beni a questa chiesa. E se anche si può ammettere che la cripta rivolta ad oriente possa essere nelle sue fondazioni parte della chiesa originaria, é da pensare che l’attuale scurolo sia quello sorto nel secolo XII in unione alla chiesa soprastante rinnovata poi nel secolo XV. Le pitture bizantineggianti qui riprodotte e che decorano un tratto di muro interno laterale sinistro della chiesa, con accanto una Madonna col Bambino purtroppo mutilata in parte e una testa di S. Alberto, raffigurano la Maddalena coi capelli spioventi che interamente la coprono e una Santa martire vestita di una lunga tunica ornata di bordi al collo, alle maniche e al piede di riquadrature geometriche policrome a punti bianchi caratteristiche dell’arte pittorica dei secoli XII e XIII. Ma mentre nelle figure scoperte nell’anno 1937, tanto nella lunetta della chiesetta di S. Antonio in Foris di Borgo Palazzo, quanto nei riquadri mistilinei dell’arcone della Curia antestante alla facciata di S. Maria Maggiore, e ancor più nei Santi Viatore e Narno affrescati sul fondo della bifora pure scoperta a lato dell’arcone della Curia, opere queste attribuibili ad una data intorno al 1250, si notano proporzioni normali, pure impreziosite da ornati decorativi di gusto primitivo e un disegno d’insieme, pur conservando costante il carattere di ieraticità, che preannuncia il Trecento, in queste figure di S. Michele al Pozzo Bianco l’ingenuità della forma, l’accentuata lunghezza dei volti, delle mani e dei corpi, la rudimentalità dell’impostazione degli atteggiamenti e delle movenze, rivela un’origine di parecchio più antica. Altri esempi lombardi analoghi e rappresentativi di quella decadenza della forma che, pur rievocando il partito ornamentale degli esempi musivi ravennati, segnano la decadenza di quelle splendide espressioni d’arte, pur mantenendo immutato il valore di sincera ispirazione religiosa, possono far dedurre che queste pitture datino da un’epoca che si aggira intorno alla metà del 1100. Se pertanto i tre Santi della lunetta di S. Antonio in Foris possono essere assegnati, come a documenti, ai primi anni del 1200 (vedasi cap. IX), si può con attendibilità presumere che questi avanzi precedano quelli di parecchi decenni costituendo così l’esempio più antico dell’arte pittorica medioevale cittadina.²

 

Tratto da: ¹ Rosella Ferrari Giazzi (testi di), Visitiamo insieme S. Michele al Pozzo Bianco, 1996. ² Luigi Angelini, “Affreschi bizantini nella chiesa di S. Michele al Pozzo Bianco”, Cose belle di casa nostra: Testimonianze d’arte e di storia in Bergamo, Stamperia Conti, Bergamo, 1955, pagg. da 72 a 74.

 



 
 

Parrocchia della diocesi di Bergamo. La prima notizia documentaria relativa a una cappella nel suburbio di Bergamo dedicata a San Michele risale all’VIII secolo. Nel testamento del gasindio regio Taido del 774 veniva nominata una "basilice Beatissimi Sancti archangeli Michaelis foris muro civitate Bergomate" (Pergamene archivi Bergamo 1988).

Si ha menzione della chiesa di San Michele in altra fonte più tardiva, risalente al XIV secolo. Nell’elenco dei rappresentanti delle chiese al sinodo del 1304 era infatti nominato "presbiter Martinus Sancti Michaelis de puteo albo" (Chiese di Bergamo sottoposte a censo).

Ulteriore attestazione della chiesa di San Michele al Pozzo Bianco in città si trova in una serie di fascicoli che registrano, a partire dal 1360, le taglie e le decime imposte al clero dai Visconti di Milano e dai papi. Tra di essi, un’ordinanza di Bernabò Visconti riporta un indice generale ("nota ecclesiarum") delle chiese e monasteri di Bergamo, per poi specificarne le rendite e la tassa, nominando di ogni beneficio il titolare. In questa fonte la chiesa di San Michele risulta "capela civitatis Bergomi". Dall’attestazione del reddito, si ricava che vi erano censiti due benefici (Nota ecclesiarum 1360).

In occasione della visita apostolica dell’arcivescovo di Milano Carlo Borromeo, avvenuta il 23 settembre 1575, presso la parrocchia di San Michele al Pozzo Bianco risultavano eretti la scuola del Santissimo Sacramento, il consorzio della Vergine e il consorzio del Corpo di Cristo. Entro la circoscrizione parrocchiale era compresa la chiesa annessa al monastero di Sant’Agostino, a cui era aggregato il consorzio di Sant’Orsola. Esistevano inoltre i consorzi della vicinia di San Michele, contiguo alla parrocchiale, e di San Nicola (Visita Borromeo 1575).

In occasione della visita pastorale del vescovo Barbarigo, avvenuta tra il 1658 e il 1660, la parrocchia cittadina di San Michele al Pozzo Bianco risultava godere di un beneficio dal reddito pari a 80 scudi. In essa erano erette le scuole del Santissimo Sacramento, dei disciplini e della Dottrina cristiana. Il clero era costituito a quest’epoca dal solo parroco (Montanari 1997).

Nel Sommario delle chiese della diocesi di Bergamo, redatto nel 1666 dal cancelliere Marenzi, presso la parrocchiale cittadina sotto l’invocazione di San Michele arcangelo, detta del Pozzo Bianco, risultavano erette le scuole del Santissimo Sacramento e della Dottrina cristiana, oltre alla confraternita dei disciplini militanti sotto il gonfalone di Santa Maria Maddalena di Bergamo. Entro la circoscrizione parrocchiale era compreso un luogo pio detto Consorzio. Nei confini della parrocchia si trovava la chiesa monastica di Sant’Agostino. A quest’epoca la comunità contava 850 anime, di cui 500 comunicate. Il clero era costituito dal un parroco, il cui reddito ammontava a 40 lire, e da un cappellano (Marenzi 1666-1667).

In occasione della visita pastorale del vescovo Dolfin, avvenuta nel 11 febbraio 1779, risultavano eretti un luogo pio detto il Consorzio, presso l’altare dell’Assunzione della Santissima Vergine, e la scuola del Santissimo Sacramento, governati entrambi da "gentiluomini" della parrocchia. Entro la circoscrizione parrocchiale era compreso l’oratorio pubblico di San Giuseppe, governato e amministrato dalla "compagnia dei marengoni", e l’oratorio di Maria Santissima "nominata delle Grazie". La comunità di San Michele, retta da un parroco, sei cappellani, tre sacerdoti e quattro canonici, contava a quest’epoca circa 603 anime, di cui 409 comunicate (Visita Dolfin 1778-1781).

Secondo quanto si desume dalla serie dei registri sullo Stato del clero della diocesi, contenenti le relazioni dei vicari foranei a partire dall’anno 1734, la parrocchia di San Michele al Pozzo Bianco risultava compresa nella vicaria cittadina. Nel 1734 la comunità contava 568 anime di cui 480 comunicate (Stati del clero 1734-1822).

Venne soppressa nel 1805 e accorpata, in qualità di chiesa sussidiaria, alla parrocchia di Sant’Andrea (decreto 22 giugno 1805). Le disposizioni governative vennero recepite nel decreto promulgato dal vescovo Dolfin in data 10 gennaio 1806 (decreto 10 gennaio 1806).

 

 Roberta Frigeni

 


 

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