giovedì 8 novembre 2012

La lotta con il demonio nel monachesimo


IL DIAVOLO E L'OCCIDENTE

Convegno organizzato da BIBLIA - Associazione laica di cultura biblica, in collaborazione con le ACLI della Provincia di Bologna. Patrocinio e sostegno della Regione Emilia Romagna, della Provincia e del Comune di Bologna. Partecipazione della Fondazione Cassa di Risparmio di Bologna. Inserito nel progetto del Ministero per i Beni e le Attività Culturali: "V Settimana della Cultura - La Cultura è uno spazio aperto".
Oratorio dei Filippini, Via Manzoni 5
Bologna, 9-11 Maggio 2003



 

La lotta con il demonio nel monachesimo

Intervento della Prof. Maria Grazia Mara - 10 Maggio 2003

 

 

Fin dalle sue origini, il cristianesimo non ha mai messo in dubbio l’esistenza di spiriti demoniaci, e ciò perché, radicato nella Scrittura, ha letto la lotta contro Satana e i demoni, condotta da Cristo lungo la sua vita e nella conclusione della sua passione e morte, come il prezzo da lui pagato perché umanità e cosmo fossero liberati dal potere demoniaco. E’ quanto testimoniano, tra altri, questi due passi scritturistici: l’espressione giovannea: “..il diavolo fin da principio pecca. Per questo il Figlio di Dio si è manifestato, per sciogliere le opere del diavolo” (1Gv 3,8), e quella della lettera agli Ebrei: “Fratelli, poiché i figli hanno in comune il sangue e la carne, anche Gesù ne è divenuto partecipe, per ridurre all’impotenza mediante la morte colui che della morte ha il potere, cioè il diavolo, e liberare così quelli che per timore della morte erano soggetti a schiavitù per tutta la vita” (Ebr 2,14-15).

 

Anche se nel narrare la storia d’Israele, la Prima Economia non ama dilungarsi su questo misterioso personaggio chiamato diavolo, è noto che la narrazione di Gn 3, a cui la Bibbia fa esplicito riferimento solo nei secoli che precedono l’era cristiana[1], ((come in Sap 2,23-24, dove si legge: “ Iddio certo creò l’uomo per l’immortalità, avendolo fatto a immagine della sua propria natura. Per invidia del diavolo la morte entrò nel mondo e quelli che lo seguono ne fanno l’esperienza”)), la narrazione genesiaca parla del ruolo avuto dal “serpente” alle origini dell’umanità; e anche se non dice il nome del “serpente” e nulla fa sapere sulla sua natura e sulla sua origine, fa conoscere le conseguenze negative che la sua azione ha avuto per l’umanità. [2].

Questo modo di presentare la realtà demoniaca nella narrazione di Genesi è ben comprensibile avendo presente la preoccupazione, da parte del testo, di evitare ogni possibile interpretazione dualista; Dio è posto all’origine di ogni creatura, quindi anche del serpente, di cui è detto che “era astuto più di ogni altro animale della campagna, che il Signore Iddio aveva formato” (Gn 3,1).

Molto più esplicita è la demonologia del NT[3] , che chiama il serpente genesiaco, con i nomi di: grande dragone, diavolo, Satana (Ap 12,9; Gv 8,44; 1Gv 3,8; 2Cor 11,3) o, come accade nella parabola del seminatore, con i nomi di: Satana (Mc), il Maligno (Mt), il diavolo (Lc). E ancora, in altri passi dei sinottici, dove viene chiamato: il nemico ( parabola dell’oglio), il tentatore (Mt 4,3), Beelzebub, principe dei demoni (Mc 9,34; 10,25; 12,24-27; Lc 11,15-19).

A questi titoli Giovanni vi aggiunge quello di “principe di questo mondo” (Gv 12,31; 14,30; 16,11). Paolo, oltre a parlare di Satana come del “dio di questo secolo”(2Cor 4,4), contrapponendolo a Cristo, lo chiama Beliar (2Cor 6,15) . “Anche se - come diceva Pietro Rossano - Satana, agli occhi di Paolo rimane ‘aniconico’, mediante numerosi testi , l’Apostolo mostra attraverso quali spazi si insinui l’azione di Satana nell’uomo (( sono la durezza del cuore e la mancanza del perdono (cfr. 2Cor 2,11); sono la fragilità umana e la difficoltà di autodominio, che rendono difficile il controllo dei sensi (1Cor 7,5), sono l’orgoglio e l’avidità del denaro (2 Tm 6,9); la depressione, l’avvilimento “)) . Egli mostra “ quale sia il valore redentivo della lotta di Gesù con le forze demoniache, quale il valore e la forza della sua preghiera (Ef 6,16) e il valore espiatorio della sua morte (Rm 16,20; 1Cor 5,5; 1Tim 1,20). Paolo proclama inoltre che anche il cristiano, mediante Cristo, partecipa già alla vittoria sul demoniaco, perché il Signore è fedele e lo renderà saldo e lo difenderà dal maligno” [4].

 

Nel capitolo dodicesimo dell’Apocalisse viene poi ripresa e completata la narrazione di Genesi, riassumendo per sommi capi la dottrina della Bibbia sul demonio e sul suo ruolo nella storia della salvezza[5], e rappresentando lo scontro personale che oppone l’Uomo-Dio al “seduttore” e “principe di questo mondo” (Gv 8,44).

 

E’ in questa prospettiva che gli scrittori cristiani antichi interpretano alcuni avvenimenti della vita di Cristo, come le tentazioni nel deserto dopo il battesimo e soprattutto la sua morte in croce. E’ quanto testimonia Teodoro Studita che, a quanti gli domandavano perché Cristo fosse stato crocifisso, rispondeva: per crocifiggere il diavolo [6].

Nonostante questa forte presenza del demoniaco nella Scrittura e la convinzione, lungo tutta la storia del cristianesimo, che gli spiriti malvagi esistono e che, come si legge in Ef 6,12, per i cristiani la vita spirituale è un combattimento contro i demoni, la fede in questa presenza non è divenuta articolo di fede[7], anche se una trattatistica teologica se ne è occupata fin dal III secolo e non sono mancate, da parte della chiesa, indicazioni in merito .

Leone Magno, nella Epistola inviata nel 447 a Turribio, vescovo delle Asturie, ricordava che il diavolo non è una creatura cattiva per natura ma è divenuto tale a causa del peccato; e nella Sinodo Costantinopolitana del 543, il canone 7 proclamava l’anatema contro chi avesse sostenuto che nel secolo futuro Cristo avrebbe realizzato nuovamente l’opera redentiva morendo sulla croce a favore dei demoni così come l’aveva realizzata per gli uomini. La condanna aveva di mira Origene che con la teoria dell’apocatastasi finale aveva sostenuto, se pure in via ipotetica, che anche il diavolo sarebbe stato salvato da Cristo.

Prima di questi pronunciamenti e forse alla loro origine vi è, scritto tra il 420 e il 426, il l. VIII delle Conferenze ai Monaci di Cassiano, libro interamente dedicato ai “Principati”, cioè alla varietà e diversità degli spiriti del male e a spiegare che la Scrittura non è di immediata comprensione quando parla dei demoni, perché richiede la capacità di penetrare con la purificazione, la preghiera, la nuditas, l’argomento di cui tratta . Cassiano chiarisce inoltre non solo che l’origine di colui che sarebbe poi stato il demonio è buona, perché è da Dio, ma si sofferma a illustrare quale sia l’origine della sua caduta: prima ancora di tentare Eva egli si sarebbe allontanato dalla santità angelica, meritando il nome di serpente per il peccato di vanagloria che lo aveva portato a nutrire gelosia nei confronti dell’uomo elevato a quella gloria da cui egli era caduto [8].

Nonostante queste e altre scarne indicazioni di autorità ecclesiastiche, l’assenza di un vero e proprio articolo di fede sul demonio non ha impedito che fosse ferma, nella comunità ecclesiale, la credenza nella sua esistenza e nella sua azione[9]. Questa credenza è sicuramente rappresentata dall’esorcismo, particolarmente quello liturgico, dalla letteratura martirologica e dalla letteratura monastica. In altre parole: a) dal prolungamento, nella storia, dell’opera liberatrice di Cristo che, attraverso le parole della Scrittura [10] e la mediazione dell’esorcista, che nella viva coscienza ecclesiale è Cristo stesso, libera e salva il fedele dal maligno [11]; b) dalle testimonianze che, nel corso della storia, veicolano modelli diversi di imitazione di Cristo e, in lui, del perdurare della sua azione liberatrice: prima il modello del martire, inserito nella passione e morte di Cristo e con lui vincitore del demonio e della morte; poi, finite le più evidenti occasioni esterne di martirio, il modello del monaco che, in un nuovo modo di imitatio Christi, continua la sua opera di liberazione degli uomini e del cosmo dal demoniaco. Al di sopra di altri motivi, pur presenti nello svolgimento della storia, è la costante esigenza, avvertita da non pochi cristiani di fare della propria vita una sequela Christi, a individuare nel monaco il portatore di quella vita teandrica che continua, nella storia, l’azione liberatrice di Cristo.

 

Se il cristiano dei primi secoli, concependo la propria vita come partecipazione al mistero di Cristo, tendeva a quella identificazione con lui che Paolo dichiara con l’espressione di Gal 2,20: “Non sono più io che vivo, è Cristo che vive in me”, lo stesso desiderio di identificazione con Cristo accompagna il cristiano lungo la storia, pur manifestandosi in modi diversi per rispondere all’evolversi delle situazioni storiche.

Se prima era stato l’ideale del martirio, come imitazione di Cristo, a motivare la preparazione ascetica, ora è la stessa ascesi, nell’uguale desiderio di imitazione di Cristo, a divenire l’equivalente del martirio; basterebbe solo ricordare la fortuna del versetto paolino : cotidie morior (1Cor 15,31) nella letteratura monastica. [12] Che le due proposte, martirio e vita ascetica monastica, si avviino a divenire equivalenti lo mostra già nel III s. Clemente Alessandrino quando scrive: “Se la confessione davanti a Dio è martirio, ogni anima che ha vissuto in purezza nella conoscenza di Dio, cioè che ha obbedito ai comandamenti, in qualsiasi maniera questo sia stato realizzato dal suo corpo, è martire sia nella vita che nella parola perché ha versato la sua fede come sangue lungo tutta la sua vita fino alla fine”[13]. Un secolo dopo Girolamo sarà più esplicito quando presenterà l’ascesi monastica intrapresa da Blesilla[14] e da Demetriade [15] come “un secondo battesimo”, così come veniva considerato il martirio cruento delle persecuzioni.

Questi testi ne richiamano uno anteriore, del II s., la Passio Perpetuae et Felicitatis , dove si legge: “Così Felicita, lieta di essere sopravvissuta al parto per combattere con le fiere, passando da sangue a sangue, dall’ostetrica al reziario , per purificarsi dopo il parto con il secondo battesimo”(XVIII, 3)[16].

L’analogia tra martirio e vita monastica ritorna frequentemente negli scritti monastici.[17]

Se prima era la letteratura martirologica a veicolare la proposta di imitazione, ora si sostituisce ad essa l’agiografia monastica. Prima la letteratura martirologica aveva presentato il martire come il perfetto imitatore di Cristo nelle sofferenze sopportate, nella testimonianza resa, nella mitezza e al tempo stesso nella lotta sostenuta contro il demoniaco nelle sue varie forme, nel perdono concesso, nella vittoria sulla morte, tutti elementi che, secondo le narrazioni neotestamentarie avevano caratterizzato il comportamento di Cristo nella sua passione-morte-risurrezione . Poi l’agiografia monastica aveva proposto l’imitatio non più della passione e morte di Cristo, ma della sua vita terrena, recuperandone lo schema narrativo evangelico. Prima la divinizzazione del martire faceva riferimento alla morte sofferta ed era su quest’ultimo nemico il suo trionfo definitivo; poi la divinizzazione del monaco, nuovo martire, faceva riferimento al mondo e al demoniaco che lo domina , perché è su di esso che egli trionfa lottando, fino a tradurre nel vissuto il noto cotidie morior di Paolo (1Cor 15,31). Giustamente quindi è stato osservato che “la svolta del modello dal martire a quello del monaco è…una svolta epocale: il modello monastico è destinato a durare nella chiesa un intero kairòs”.[18]

 

Tra le testimonianze che la letteratura martirologica offre sulla lotta del martire con il demoniaco, ricordo le lettere di Ignazio nelle quali il vescovo di Antiochia fa riferimento alla lotta da sostenere con il “ principe di questo mondo “ [19]. Particolarmente significativa è la lettera scritta alla comunità romana per supplicarla di non adoperarsi per evitare il suo martirio, martirio che, unito a Cristo e con lui e per lui, egli attende come momento prezioso per sconfiggere il diavolo. Scrive: “Il principe di questo mondo vuole distruggermi e corrompere la mia mente rivolta a Dio. Quindi, nessuno di voi che sarete presenti, lo aiuti; state piuttosto dalla mia parte che è quella di Dio…”(Ad Rom.1).

Ancora più evidente è nella Passio Perpetuae la lotta della martire con il diavolo, identificato col serpente antico[20] e con l’orrida figura simbolica dell’Egizio [21], chiamato il diavolo [22], lotta sostenuta dalla martire Perpetua prima di conseguire , finalmente, il suo trionfo.

 

Nella spiritualità monastica del deserto acquista nuovo rilievo il combattimento contro i demoni, perché il deserto è, per eccellenza, il regno dove i demoni si ritirano e il monaco vi si reca per affrontarli e cooperare alla liberazione dell’umanità dal loro influsso nefasto. Non stupisce quindi che la demonologia conosca, con il monachesimo, una nuova fioritura.

 

Nella demonologia presente nella Vita Antonii [23], nell’opera di Evagrio[24] e in quella di Cassiano[25], al monaco è affidato il compito di purificare, per mezzo della fede in Dio e dell’ascesi, i luoghi della potenza del male, dove egli sceglie di abitare per lottare e vincere i demoni che vi si trovano. E tra i luoghi abitati dai demoni il deserto è luogo privilegiato e ultimo rifugio.

Nella letteratura monastica viene frequentemente sottolineato il fatto che l’azione dei demoni, che non solo non è estranea ma anzi è soggetta alla provvidenza divina, finisce col diventare strumento di quelle prove che il monaco subisce prima della vittoria. Così , di Melania, nobile romana che verso la fine del IV s. aderì al monachesimo, viene detto che: “Il nemico essendosi reso conto che non otteneva nulla contro di lei e anche che, vinto, le dava delle corone molto più belle, confuso, non osò più importunarla”[26]. E di Saba, fondatore della Grande Laura presso Gerusalemme, verso la fine del V s., si narra che, poiché non temeva Satana apparsogli sotto forma di un leone spaventoso, a ricompensa della sua fede “Dio gli sottomise ogni bestia velenosa e carnivora”.[27]

L’azione demoniaca, soggetta alla provvidenza divina, sconfitta dalla vita di fede e dall’ascesi del monaco e quindi strumento della sua vittoria, è tema ricorrente anche nei detti del deserto, quegli Apophtegmata patrum, redatti verso la fine del V s., che fanno conoscere gli insegnamenti trasmessi da maestro a discepolo fra i monaci egiziani [28].

In essi si legge che:

‘ Una volta venne a Scete un indemoniato e dopo molto tempo non era stato ancora guarito. Un anziano ne provò compassione, tracciò su di lui il segno di croce e lo guarì. Il demonio infuriato disse all’anziano: “Ecco tu mi hai scacciato e io vengo da te!”. L’anziano gli disse: “Vieni, mi fai piacere!”. L’anziano passò dodici anni sopportando il demonio e lo mortificava mangiando ogni giorno 12 noccioli di datteri. Alla fine il demonio uscì e se ne partì da lui. L’anziano vedendolo uscire gli disse: “perché fuggi? Resta ancora!”. Il demonio gli rispose: “Ti domerà Dio perché soltanto lui ha potere su di te!” (n. 12).

E ancora:

Un grande anacoreta che diceva: “Satana, perché mi fai guerra in questo modo?” udì Satana rispondere: “Sei tu che mi combatti con forza!” (n.33).

Nell’Apophtegma 36 si legge che: “Un anacoreta vide un demonio che ne spingeva un altro perché andasse a svegliare un monaco che dormiva. E sentì l’altro dire: “ Non posso farlo. Una volta l’ho svegliato ed egli si è alzato e mi ha bruciato con le preghiere e i salmi” (n.36).

 

Una testimonianza eloquente di quanto, nella vita monastica, fosse radicata la certezza dell’esistenza del demonio e di quanto l’uomo di Dio, il monaco, potesse sconfiggere i demoni con l’aiuto di Cristo, è offerta dalla Vita Antonii , scritta da Atanasio nel 357, (un anno dopo la morte del protagonista), nella quale abbondano gli episodi in cui il diavolo e i demoni che lo accompagnano costituiscono il centro del racconto. L’importanza di questo scritto monastico, il primo di cui abbiamo conoscenza, appare subito se si ricorda che una quindicina di anni dopo la redazione atanasiana almeno due versioni latine la diffondevano già in Occidente. Una tale richiesta e accoglienza della Vita Antonii sembra indicare che anche l’Occidente doveva trovarsi in sintonia non solo con la proposta monastica che l’agiografia offriva ma anche con la demonologia presente e con il ruolo assegnato al monaco per combatterla e vincerla. [29]

Sui 94 capitoli che costituiscono la Vita Antonii (VA) circa i due terzi (48) interessano la demonologia.

La ragione di tanta insistenza è stata dichiarata alla fine del lavoro , e testimonia come la credenza nell’esistenza di spiriti malvagi fosse condivisa da cristiani e pagani:

 

“Se sarà utile, leggete queste cose anche ai pagani, affinché almeno così riconoscano che non solo il Signore Gesù Cristo è Dio e Figlio di Dio, ma anche che coloro che lo adorano in modo legittimo e credono in lui devotamente – i cristiani – vituperano quei demoni che i pagani stessi ritengono dei; e non soltanto dimostrano che non sono dei, ma addirittura li calpestano come seduttori e li scacciano ritenendo che siano corruttori degli uomini” (VA 94,2).

Non solo la Vita Antonii testimonia la credenza di cristiani e pagani nella esistenza dei demoni, ma testimonia anche quanto sia costante la lotta che Antonio deve sostenere con i demoni. I combattimenti principali nei quali egli deve affrontarli sono tre, in corrispondenza delle tre tappe decisive verso la vita solitaria:

1- quando si ritira in una tomba (VA 8);

2- quando si inoltra nel deserto per stabilirsi in un vecchio fortino (VA 12-13);

3- quando raggiunge il deserto vicino al mar Rosso (VA 51-52).

Il perché del collegamento tra la lotta del demonio e la vita solitaria è suggerito dalla stessa agiografia lì dove Atanasio mette in bocca ad Antonio una dichiarazione che racchiude anche un intento apologetico: il cristianesimo si è ormai esteso nelle città e quindi i demoni non hanno più città; con l’arrivo degli asceti nel deserto essi temono di perdere anche questo luogo dove si sono dovuti ritirare (VA 41), perché il deserto è diventato luogo di una presenza teandrica che, per la forza trascinante che esercita rischia di trasformare il deserto in città (VA 8,2).

 

Una preoccupazione che affiora continuamente nei numerosi episodi demoniaci narrati nella VA è infatti quella di dimostrare che il demonio, indicato con i nomi biblici di diabolus [30] , daemon [31], inimicus [32], draco [33] , tyrannus [34], spiritus fornicationis [35], princeps daemoniorum [36] , non deve essere temuto, perché il monaco che contro di lui lotta e combatte sa che con lui vi è “il Signore che li ha vinti e ha tolto loro ogni forza”.[37] La Scrittura , con quanto detto dal Signore nella citazione lucana: “Vedevo Satana cadere come una folgore” [38], corrobora la fede del monaco, il quale in questa lotta riconosce anche il perpetuarsi di quella lotta di cui parla Paolo: “ Non contro la carne e il sangue, ma contro i principati , contro le potestà, contro i padroni delle tenebre di questo mondo, contro gli spiriti del male che sono nei cieli” (Ef 6,12 in VA 21). E il versetto di Paolo, già in lui eco di un insieme di credenze, richiama, nella demonologia atanasiana, quel patrimonio religioso della letteratura giudaica extrabiblica, particolarmente sviluppato da Origene, secondo cui l’aria era la dimora dei demoni [39] .

E’ interessante notare che nella Vita Antonii, come poi nella successiva letteratura monastica, se tutti credono nella esistenza del diavolo, quando si approfondisce in che cosa e in che modo si crede, emerge una sostanziale differenza: mentre infatti i pagani e la maggior parte dei cristiani vi crede e lo teme, i santi, monaci-asceti, vi credono ma non lo temono, denunciandone così la sua radicale falsità, vacuità e debolezza.

Il concetto espresso da Paolo in Ef 6,12 acquista, nella spiritualità monastica del deserto, un nuovo rilievo perché il deserto è, come già detto, il luogo. per eccellenza, in cui i demoni dominano e dove il monaco si ritira per affrontarli in un combattimento diretto. Si legge nella VA: “Grande è la loro moltitudine nell’aria che ci circonda, e non sono lontani da noi. Molte sono le loro varietà; e il discorso sulle loro proprietà e varietà sarebbe lungo…Ciò che importa ed è necessario per noi è conoscere le astuzie che essi adoperano nei nostri riguardi”.

Evagrio, nato nel Ponto verso il 345, nel Trattato Pratico, precisando maggiormente quanto è detto nella VA, con la quale l’opera evagriana ha molti contatti, dirà che la lotta degli anacoreti con i demoni (principati, potestà, padroni delle tenebre) è una lotta senza intermediari, mentre nella lotta contro coloro che, pur praticando l’ascesi, vivono nei cenobi, i demoni si servono di altri uomini. Scrive Evagrio : “Contro gli anacoreti i demoni combattono senza armi; ma contro coloro che si esercitano nella virtù nei monasteri o nelle comunità, i demoni armano i più negligenti tra i fratelli. Ora questa seconda guerra è molto meno pesante della prima perché non è possibile trovare sulla terra uomini che siano più cattivi dei demoni o che possano assumere, ad un tempo, tutte le loro malefatte” (Tr.Pr. 5). In altre parole, per quanto gli uomini siano cattivi non possono raggiungere quel grado di cattiveria e di collera a cui giungono i demoni.

Abbiamo visto come nella Vita Antonii la credenza nell’esistenza di spiriti malvagi non venga mai messa in discussione, la presenza del diavolo è un dato di fede, la sua esistenza è un “a priori” che deriva dall’interpretazione dei dati biblici della creazione, della caduta e della redenzione. Ma è soprattutto il tema del combattimento spirituale contro i demoni e le loro astuzie, a percorre tutta l’opera atanasiana. Questo tema ritornerà con insistenza anche negli Apophtegmata Patrum.

 

La Vita Antonii permette inoltre di individuare le caratteristiche con cui il diavolo, creduto, viene rappresentato; quali sono i suoi titoli, (a quelli più noti aggiunge quello di “amico della fornicazione”, di spirito di fornicazione VA 6), quali le sue azioni, ( le percosse VA 8), le tipologie in cui appare, ( in pensieri sordidi VA 5, le sembianze di una donna VA 5, di un fanciullo negro VA 5, di belve e di serpenti VA 9), le sue vittime, (i timorosi VA 13) i suoi strumenti, i suoi poteri (trasformazioni reali o che incidono sull’immaginazione) e le sue debolezze (non sopportare il segno della croce VA 13, la recita dei salmi VA 13).

In altre parole, gli interventi del diavolo si susseguono nella VA secondo una tattica finemente psicologica, ed è difficile riconoscere quanto questa sia presentazione fedele dell’esperienza di Antonio o quanto sia frutto di una sistematizzazione dei dati operata da Atanasio. Dapprima il diavolo appare come il tentatore sulla memoria e sul desiderio, suscitando il ricordo di piaceri e affetti, come l’amore per i parenti (VA 5), l’agio delle ricchezze godute (VA 5), il desiderio del denaro (VA 11-12), della vanagloria, del piacere del cibo (VA 5), quella nostalgia del passato su cui si misura l’asprezza della virtù, la fatica del presente. Poi, mediante i pensieri sordidi il diavolo vuole piegare la volontà di Antonio, che ripetutamente reagisce e vince. Scrive Atanasio: “L’uno (il diavolo) suggeriva pensieri sordidi, l’altro (Antonio) li respingeva con la preghiera. L’uno spingeva la volontà contro le cose immonde: l’altro, quasi provasse vergogna, circondava il suo corpo con la fede e i digiuni, come se fossero un muro. Il diavolo miserabile si adattava anche a trasformarsi di notte in una donna e a imitarla in tutte le maniere, pur di sedurre Antonio” (VA 5,4-5).

O ancora suscita un senso di stanchezza, di insofferenza, di torpore, di mancanza d’interesse per la vita intrapresa (VA 36,2). E’ questa quell’acedia che già nella Vita Antonii è orientata verso quell’interpretazione che ne darà Evagrio quando, identificando il demone dell’acedia con il “demone di mezzogiorno” del Sal 90,6 [40], indicherà quel particolare stato d’animo, legato alla vita anacoretica, che conduce il monaco a desiderare di abbandonare la sua cella per altri luoghi, nella speranza di potervi trovare quella comprensione, quella compagnia che non trova negli altri monaci e dove sogna di trovare un lavoro meno faticoso, una solitudine meno opprimente. L’interesse dell’azione del demonio è quello di condurre il monaco al rifiuto della stessa vita anacoretica, mostrandogli che per piacere al Signore non occorre seguire una via così singolare perché, come il Signore stesso ha insegnato, la divinità può essere adorata ovunque ( cfr. Gv 4, 21-24 in TP 12).

E’ proprio nel deserto che gli anacoreti e i monaci hanno conosciuto quella tentazione che mina alla radice stessa la vocazione cristiana: lo scoraggiamento che sconfina nella disperazione, e le hanno dato il nome di “acedia”, chiamata anche “il demone meridiano” (cf. Sal 90,5), perché assale l’abba del deserto soprattutto a mezzogiorno, con un senso di noia e di mortale stanchezza di fronte alla vita, mentre viene constatata la radicale vanità di ogni sforzo umano “sotto il sole” (Qo 1,3). [41]

A proposito della stessa azione demoniaca dell’acedia si legge nel n. 33 degli Apophtegmata Patrum :

- Nella Tebaide vi era un anziano di nome Ierace che era giunto all’età di circa 90 anni. I demoni volevano farlo cadere nell’acedia prospettandogli il pensiero che avrebbe dovuto vivere ancora a lungo e così un giorno si presentarono a lui e gli dissero: “Anziano che farai? Ti toccherà vivere ancora 50 anni!” .Ma quello rispose: “Mi avete proprio rattristato. Mi ero preparato a vivere ancora duecento anni”. Ed essi se ne partirono da lui ululando”.

Il tema dell’acedia, come tentazione demoniaca contro una risposta data al Signore in un rapporto personale con lui, è presente anche in Cassiano, che mostra la necessità di combattere: “.. quella che i Greci chiamano acedia (axedian), che possiamo chiamare noia o ansietà del cuore”. Di essa: “ alcuni degli anziani dicono che si tratta del “demonio di mezzogiorno”, quello di cui parla il Sal 90”. E prosegue: “ E quando questo prende possesso di una miserevole mente vi genera orrore per il luogo, disgusto della cella, disprezzo per i fratelli…che considera negligenti e poco spirituali”.[42]

Nella lotta contro il demonio, Evagrio mostra come il demonio non possa raggiungere direttamente l’ intelletto umano, mentre può introdurvi delle immagini[43].

Così, per Evagrio, la lotta contro il demonio si svolge soprattutto a livello di logismòi,[44] nel mondo immaginario delle illusioni, delle false consolazioni, degli inganni di ogni specie, dove il monaco combatte e vince con il discernimento e con la vigilanza del cuore, a cui aggiunge anche digiuni e penitenze varie perché i demoni si servono del corpo per introdursi nell’uomo. E ciò anche se in sé il corpo è buono e può , se in sintonia con un cuore vigile, essere una protezione contro il demonio stesso. E’ per questo motivo che il demonio attacca soprattutto durante il sonno, quando la persona umana è senza difesa[45].

I vari gradi di penetrazione di un pensiero cattivo nel cuore sono stati oggetto di una attenta analisi [46]; si tratta di una gradatio che dalla suggestione (“una semplice idea o un’immagine suggerita allo spirito o al cuore dal nemico” [47]) passa all’avvicinamento, (cioè al “conversare” con quella suggestione), al consenso dato al piacere proibito [48], (è il momento del peccato vero e proprio), alla “prigionia”, dovuta all’attrazione violenta del cuore, alla passione, a quella abitudine viziosa che finisce per diventare come una seconda natura, prodotta da una lunga serie di consensi [49]. Quella lunga serie di consensi che Agostino chiamerà consuetudo.

Per Evagrio, come prima per Antonio, è attraverso la custodia del cuore che si ostacola la penetrazione del demoniaco nell’uomo, anche se, per alcuni scrittori cristiani antichi non solo è difficile, ma forse impossibile, così ritiene Origene, liberarsi del tutto dai pensieri cattivi con solo le proprie forze; l’aiuto di Dio rende però possibile sopportare le battaglie a cui questi pensieri obbligano. [50]

Secondo la tradizione monastica, come insegna lo Pseudo-Macario: “Tutto il combattimento dell’uomo avviene nei pensieri e consiste nell’eliminare la materia dei pensieri cattivi” ( Homilia 6,3).

Nella Vita Antonii, la gradatio che caratterizza l’azione del demonio non si ferma alle suggestioni né al “demone di mezzogiorno”, ma prosegue il suo intervento più esteriore contraffacendosi in modi diversi, particolarmente come animale, secondo un vero e proprio bestiario del deserto, e con autentiche aggressioni fisiche, quasi a conferma della sua presenza invisibile e visibile. Atanasio sembra voler mostrare così, in parallelo con la storia di Giobbe, fin dove può giungere il potere che Dio concede al demonio.

Narra Atanasio che Antonio, ritiratosi fra i sepolcri lontani dalla città, sia entrato in una tomba facendovisi chiudere dentro; ciò non piacque al demonio che gli “si avvicinò una notte con una moltitudine di demoni e tanto lo percosse che Antonio, vinto dai tormenti, giacque a terra senza voce. Narrò poi, prosegue Atanasio, che il dolore dei colpi ricevuti era stato così insopportabile, che colpi umani non avrebbero mai potuto dargli un simile tormento” (VA 8,2-3). Dopo essere stato ristorato da un suo discepolo, Antonio volle tornare nel sepolcro suscitando la collera dei demoni che, trasformatisi in belve e in serpenti, aggredirono Antonio che tutto sopportava e “Pieno di fiducia diceva..: ‘Se avete forza e vi è dato qualche potere, perché esitate? Venite. Ma se non potete, perché mi disturbate inutilmente? Noi abbiamo per darci forza il segno della croce e un muro, la fede che abbiamo nel Signore” (VA 9,10)

 

Per dare più credibilità alle sue parole il demonio fa uso della Scrittura secondo il modello del tentatore di Gesù in Mt 4,9: “..tutto questo io ti darò se ti prostri e mi adori” (cfr. VA 37,2).

Alle visioni e allucinazioni, nelle quali il diavolo e la sua corte assumono le sembianze di eremiti che salmodiano, cantano (cfr. VA 25,1-4), citano la Scrittura (cfr. VA 26,6) Antonio oppone, per sconfiggerle e allontanarle, il segno della croce (cfr. VA 9,10; 78,5), a dimostrazione che non lo sforzo umano ma la forza salvifica di Cristo riporta la vittoria

In tutte queste narrazioni Antonio non attribuisce mai a sé, alle sue veglie e digiuni la vittoria sul demonio - forse proprio in polemica con altre correnti monastiche che sembravano accentuare troppo la dimensione volontaristica dell’uomo – ma, facendo sue le parole di Paolo, attribuisce ogni vittoria al Cristo che vive in lui (1Cor 15,10 in VA 5,6-7), pur non tralasciando di indicare la parte che nella lotta spetta all’uomo, a lui, Antonio, lotta che comporta fede, preghiera, digiuni (cfr. VA 5,3-5). In altre parole, vi è già nella Vita Antonii la consapevolezza che ogni vittoria dell’uomo, ogni sua buona azione è al tempo stesso di Dio e dell’uomo. Una quarantina d’anni dopo, Agostino, commentando Rm 9,15-16 alla luce di Lc 2,14: “E sulla terra pace agli uomini di buona volontà” e di 1Cor 9,24: “Correte così da riportare il premio”, affermerà che Paolo aveva inteso mostrare che nel piano di Dio vi è che “il nostro volere sia suo e nostro” (Ad Simpl. I,2.10). Concludendo poi le Confessiones, Agostino ritornerà, poeticamente, su questa raggiunta convinzione e scriverà: “..noi pure, dopo compiute le nostre opere, buone assai per tua generosità, nel sabato della vita eterna riposeremo in te. Anche allora sarai tu a riposare in noi, come ora sei tu a operare in noi. Sarà, quello, un riposo tuo per mezzo nostro, come sono, queste, opere tue per mezzo nostro”(Conf. XIII, 36.51-37.52).

Nella lotta contro il demonio, così come nella lotta quotidiana, il monaco ha piena coscienza del grande tema che attraverserà, con alterne vicende, tutto il vivere dei cristiani nella storia: il rapporto grazia divina-agire umano, cioè il primato dell’agire invisibile di Cristo sull’agire necessario e visibile dell’uomo.

 

Avendo constatato quanto insistente sia la presenza del diavolo nella Vita Antonii e avendo individuato le caratteristiche con le quali Atanasio lo presenta , anche se l’opera non offre una spiegazione teologica articolata sul demonio e sulla sua storia, mi pare possibile dire che il diavolo di cui parla l’opera, quello contro cui Antonio lotta, e contro cui lotteranno i monaci di Evagrio e di Cassiano, nella cui esistenza Atanasio crede, così come vi crede il pubblico per il quale Atanasio scrive, mantenendone viva la credenza, è quella stessa realtà spirituale, creata buona da Dio e divenuta cattiva per ribellione, contro cui Cristo ha lottato fino a morire in croce, trionfando su di lei con la resurrezione, per liberare l’umanità dalla sua costante azione negativa e da quell’ultimo nemico con cui si presenta, che è la morte. La vita monastica, lottando contro il demoniaco nelle molteplici e varie manifestazioni con cui si presenta e si presenterà [51], intende attualizzare, nel trascorrere della storia, l’azione liberatrice di Cristo.

 

 

MARIA GRAZIA MARA
Università "La Sapienza" - Roma

 

 

 



[1] Cfr. S. Lyonnet, Le démon dans l’Ecriture, DS 3 (1957), 142.

[2] Cfr. Idem, 144.

[3] Per il suo debito nei confronti della letteratura giudaica non canonica cfr. J. Bonsirven, Le Judaisme palestinien, t.1, Paris 1934, 239-246; DSB, t.4, coll.1164-1166.

[4] Cfr.2Tess 3,3: “Tuttavia fedele è il Signore: egli vi renderà saldi e vi difenderà dal maligno”; e 1Cor 10,13: “Dio è fedele: egli non permetterà che siate tentati al di sopra delle vostre forze, ma insieme alla tentazione vi darà pure il mezzo per poterla sopportare”. Cfr. P. Rossano, “Diabolos-Daimon nel corpus paolino”, in “L’Autunno del diavolo”, vol. I, Milano 1990, 183.

[5] Cfr. S.Lyonnet, Le démon dans l’Ecriture, DS 3 (1957), 142-152.

[6] Cfr. Teodoro Studita, Oratio 4,6 e J.Kirchmeyer, Grecque (eglise). Libération du Malin , DS 6 (1967), 833.

[7] Cfr. F. Bolgiani,, Dei, astri e demoni negli scrittori cristiani dei primi secoli, 218-219, in “L’Autunno del diavolo”, Milano 1990.

[8] Cassiano, Conlationes, VII-VIII.

[9] Basterebbe ricordare la raccolta di Testi e Tradizioni (secoli I-III) ne “Il Diavolo e i suoi angeli” a cura di Adele Monaci Castagno, Fiesole 1996

[10] Cfr. Atanasio, Epistola ad Marcellinum, 33: “Nelle parole della Scrittura si trova il Signore di cui i demoni non possono sopportare la presenza”.

[11] Cfr. J.Daniélou, Exorcisme, DS 4,2 (1961), 1995-2004.

[12] Cfr.Vita Antonii 19,2.

[13] Clemente Aless., Stromata IV.4

[14] Cfr.Girolamo, Epistola 39,3.4

[15] Cfr. Girolamo, Epistola 130, 7.14.

[16] Cfr. anche Passio Perpetuae et Felicitatis XXI,1. Cfr. anche Tertulliano, De bapt, 16,1-2

[17] Cfr. E.E. Malone, The Monk and the Martyr in Antonius Magnus Eremita, Studia Anselmiana 38, Roma 1956, 201-228.

[18] C. Leonardi, Passaggio dal mondo antico al Medioevo, da Teodosio a san Gregorio Magno, Roma 1980, 441

[19] Cfr. Ignazio, Ad Eph. XVII,1; Ad Magn. I,3; Ad Trall. IV, 2; Ad Philad. VI,2.

[20] Cfr. Passio Perpetuae IV.

[21] Cfr.Passio Perpetuae X.5 , XVIII. 7; “dall’Esodo in poi l’Egitto è il simbolo dell’avversario e del male” cfr.Ap 11,8, cfr. C. Mazzucco, ‘E fui fatta maschio’ , Torino 1989, 151.

[22] Cfr. Passio Perpetuae X,14; XX,1

[23] Per la Vita Antonii cfr., tra molti studi: Vita di Antonio , a cura di Christine Mohrmann, in Collana Lorenzo Valla 1974; M.G.Mara, La lotta contro il demonio nella letteratura monastica del IV secolo , in “L’autunno del diavolo”, Milano 1990, pp.265-278; Ead., Bibbia e storia nel fenomeno monastico: la Vita Antonii , in “Pléroma”, Miscelanea en homenaje al P, Antonio Orbe , Santiago de Compostela 1990, 561-573.

[24] Per Evagrio, cfr. l’ introduzione di A. Guillaumont, Traité Pratique ou le Moine , in SCh 170 (1971), 94-98.

[25] Per Cassiano cfr quanto scrivono A. e C. Guillaumont, s.v. Démon , in DS 2 (1953), coll.208-210; E.Pichery, Jean Cassien. Conférences VIII-XVII, in SCh 54 (1958)..

[26] Vie de sainte Mélanie 18, SCh 90 (1962), 163.

[27] Vie de saint Saba, in A.-J. Festugière, Les moines d’Orient, vol. III, 2, 24.

[28] Cfr. Vita e detti dei Padri del deserto, a cura di Luciana Mortari, Roma 1996.

[29] Gli studi più recenti ritengono che, pur essendo l’Egitto il luogo propulsore del fenomeno monastico, questo fosse già autonomamente presente in Siria, in Mesopotamia, nella Cappadocia, e nelle Gallie.

[30] Cfr. VA 26,4; 28,5; 29,1.2; 34,1; 37,3; 40,6; 42,1; 52,1; 88,2.

[31] Cfr. VA 26,2; 27,1; 28,2.9.10; 29,5; 30,1.3; 31,2.4; 33,1.5; 34,2; 37,1; 38,1.3; 39,2; 40,1.6; 42,1.7.8; 44,1; 48,1; 51,5; 52,1.4; 53,3; 62,1; 63,3; 64,1.3; 72,5; 78,34; 80,2; 88,2; 91,3; 94,2.

[32] Cfr. VA 28,1; 29,3; 37,1; 42,1.8; 65,7; 66,4.

[33] Cfr. VA 6,1.

[34] Cfr. VA 28,2.

[35] Cfr. VA 6,2 da Os 4,12.

[36] Cfr. VA 24,2.

[37] Cfr. VA 42,4.

[38] Lc 10,18 in VA 40,5.

[39] Cfr. J. Daniélou, Les démons de l’air dans la ‘Vie d’Antoine’, in “Studia Anselmiana” XXXVIII (1956), 136-147.

[40] Cfr. T. Spidlik, La spiritualità dell’oriente cristiano , Cisinello Balsamo 1995, 238-239.

[41] Cfr. G.Agamben, Il demone meridiano, in “Stanze”, Torino 1977, .5-14.

[42] Cfr. Cassiano, Institutions , 10,1, SCh. 109 (1965).

[43] Cfr. Evagrio, Le traité pratique 48, SCh 171 (1971), 608 ss.

[44] Una definizione di logismòs è data da Massimo il Confessore: “Una cosa è un oggetto, altra è una rappresentazione, altra ancora una passione. Un uomo, una donna, del denaro, ecco degli oggetti; il semplice ricordo di questi oggetti, ecco una rappresentazione; un affetto sregolato o un odio cieco per questi oggetti, ecco una passione” (Centuries sur la charité 3,42, SCh 9 (1943), 136. E chiarisce ulteriormente: “Tutta la lotta che il monaco conduce contro i demoni tende a separare le passioni dalle rappresentazioni: altrimenti è impossibile mantenere la propria libertà interiore alla vista degli oggetti” (Centuries sur la charité, 3,40, SCh 9 (1943), p.136.

[45] Sull’argomento cfr. A. Giullaumont-C.Guillaumont, Démon dans la plus ancienne littèrature monastique, DS 3 (1957), 203 ss.

[46] Cfr. T. Spidlik, La spiritualità dell’Oriente cristiano. Manuale sistematico, Cinisello Balsamo 1995, 225.

[47] Giovanni Damasceno, De virtute et vitio, PG 95,93.

[48] Cfr. Evagrio, Le traité pratique, 9,22, SCh 71 (1971), 513,553.

[49] Cfr. T.Spidlik, La spiritualità, cit., 225.

[50] Cfr. Origene, In Proverbia 5.

[51] La concezione del trionfo di Cristo apparirà, nella Storia Ecclesiastica di Rufino, soprattutto come vittoria sul demonio e sui suoi ministri pagani (HE II,22,23,25,26,28,29,30,33). E la lotta contro eresia e paganesimo assumerà il carattere singolare della lotta di Dio contro Satana ed avrà come fine la destituzione del suo potere.

 

 

 

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