venerdì 16 novembre 2012

Dall’Ad Ecclesiam di Salviano di Marsiglia

 
Dall’Ad Ecclesiam di Salviano di Marsiglia

(Eccl, 1,5,24.26-27; 3,1,3-5; 4,4,19-22)
 
 

            Nessun uomo degno di questo nome – ritengo – dubita che tutti i beni siano un dono elargito da Dio a tutti (…). Se Dio dispensa dunque tutto a noi, non v’è dubbio che dobbiamo rapportare al suo culto quanto ricevuto in dono da lui, mettere al suo servizio quanto ottenuto dalla sua generosità (…). Noi siamo solo usufruttuari delle cose che abbiamo: le usiamo come beni datici in prestito dal Signore, costituendone – per così dire – i proprietari momentanei. A conti fatti, quando usciremo da questo mondo, dovremo lasciare, volenti o nolenti, tutto qui. Perché, dunque, essendo usufruttuari, tentiamo di sottrarre, di alienare al Signore la proprietà di ciò che non potremo portare con noi? (…)

            Cosa c’è di più giusto, di più onesto, che un bene, una volta separato dal suo usufruttuario, ritorni in possesso di chi gliene aveva concesso l’uso? Questo, d’altronde, ci ordina tramite le parole delle Sacre Scritture la voce stessa di Dio, che dice a ciascuno di noi: Onora il Signore con i tuoi averi (Prov 3, 9). E altrove: Paga il tuo debito (Sir 4, 8). (…)

            (…) Il Salvatore afferma nel Vangelo che Dio dà in prestito agli uomini ricchezze e denaro perché gli vengano restituiti col cumulo degli interessi. Dice al debitore avaro: Servo malvagio e infingardo, sapevi che mieto dove non ho seminato e raccolgo dove non ho sparso; avresti dovuto affidare il mio denaro ai banchieri e così, ritornando, avrei ritirato il mio con l’interesse. Toglietegli dunque il talento e datelo a chi ha dieci talenti (Mt 25, 26-28). E poco dopo: E il servo fannullone gettatelo fuori nelle tenebre: là sarà pianto e stridore di denti (Mt 25, 30). Questo passo, benché possa riferirsi a un tema diverso, tuttavia si adatta salutarmente al presente argomento. Poiché è corretto intendere che i poveri e gli indigenti siano i banchieri del Salvatore – in quanto il denaro elargito è destinato a moltiplicarsi –, è fuor di dubbio che quanto si dispensa agli indigenti viene reso a Dio con gli interessi. Perciò in un altro passo scritturistico ben chiaramente il Signore stesso ordina ai ricchi di distribuire i beni di questo mondo e di farsi delle borse che non invecchino (Lc 12, 33). Ma anche attraverso Paolo, il vaso d’elezione (Atti 9, 15), egli ci insegna che i ricchi ricevono da Dio le ricchezze perché si arricchiscano di opere buone (cf. 1Tim 6, 17s). Pertanto (…) ritengo che il primo e più salutare dovere religioso per un cristiano ricco è di dispensare, vita natural durante, i beni di questo mondo nel nome e in onore di Dio; il suo secondo dovere è di elargire tutto almeno in punto di morte, se per caso ne è stato impedito da timore, da malattie, o da qualche altra necessità.

            “Ma Dio”, dici tu, “non ha bisogno del nostro rimborso!”. Niente di meno vero! (…) Egli non ne ha certo bisogno in se stesso, ma ne ha bisogno in molti uomini (…). Cosa dice Dio a quanti donano con pia generosità? Venite benedetti, possedete il regno del Padre mio preparato per voi sin dalla fondazione del mondo. Poiché ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere (Mt 25, 34s).  (…) E perché tali parole non sembrino forse inadeguate all’argomento che sto trattando, egli presenta, in aggiunta, la situazione opposta, e dice agli avari e ai miscredenti: Andate, maledetti, nel fuoco eterno preparato dal Padre mio per il diavolo e per i suoi angeli. Poiché ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e non mi avete dato da bere (Mt 25, 41s).

            Dove sono quelli che replicano che il Signore Gesù Cristo non ha bisogno dei nostri doni? Egli stesso afferma di avere fame, e sete, e freddo. Mi dica uno qualsiasi di loro se non è bisognoso chi si lamenta di avere fame, se non è bisognoso chi si lamenta di avere sete. Quanto a me, dirò di più: Cristo non soltanto è bisognoso come gli altri, ma è bisognoso più degli altri. Nella massa dei poveri la povertà presenta aspetti differenti da caso a caso: alcuni non hanno di che coprirsi, pur avendo di che nutrirsi; molti non hanno dove ricoverarsi, anche se hanno di che vestirsi; molti non hanno casa, ma hanno di che sostentarsi (…) Cristo solo è assolutamente privo di ciò che non manca nell’intero genere umano. Se uno dei suoi servi è esiliato, o è intormentito dal freddo perché nudo, Cristo soffre con lui. Egli è il solo ad essere affamato con chi ha fame, assetato con chi ha sete. Pertanto, riferendoci alla sua pietà, il Signore è più indigente di tutti gli altri. Chi è nel bisogno soffre per sé soltanto e in se stesso: solo il Cristo è colui che mendica in tutti i poveri.
 
 
Da: G. BOSIO E. DAL COVOLO M. MARITANO, Introduzione ai Padri della Chiesa. Secoli IV e V, Torino, 1995, 321-323.

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