lunedì 22 ottobre 2012

Le realtà ultime

 
 
Le realtà ultime

 
 

Tratto dalla trascrizione di alcuni interventi seguiti dopo una conferenza del metropolita Anthony Bloom sul tema Comme un vivant revenu d'’entre les morts. Per ascoltare la registrazione dell’intera conferenza: http://masarchive.org/Sites/Audio/French/Mort.mp3

 

  

            D. – Lei ci ha suggerito che l’assenza di Dio sia un’assenza d’esistenza. Possiamo ammettere che alcuni saranno nella felicità eterna e altri nella sofferenza dell’esistenza eterna di Dio?

 
 
            A. B. – Alla prima metà della domanda risponderei sostituendo il termine “esistenza” con il termine “vita”. L’assenza di Dio è l’assenza della vita. Possiamo esistere materialmente, fisicamente, e comunque essere morti in mezzo ai morti, avere un’anima spenta, essere di quelli che non hanno mai provato il fremito della vita, la sua intensità creatrice; in fin dei conti, essere di quelli che non hanno mai scoperto che la pienezza della vita si chiama amare, e che amare è donare la propria vita. Nel linguaggio della scrittura e dell’esperienza della chiesa, l’amore non è un sentimento, un’emozione: è un livello di vita, una pienezza che s’intensifica donandosi.

            Quanto alla seconda parte della domanda, che riguarda la felicità e l’inferno eterni, credo che non ci siano risposte assolute e categoriche. Qui, piuttosto che affermare con certezza, noi possiamo soprattutto sperare. Alcuni parlano di salvezza universale; credo che non si tratti in questo caso di una “certezza della fede”, ma di una “certezza della speranza”. Possiamo sperare tutto dalla sapienza di Dio. Non conosciamo le vie del Signore. Alla fine, noi non sappiamo come, dopo essersi preso sulle spalle il fardello del mondo intero, egli saprà condurci all’eternità.

 

            D. – Dio ha soppresso e svuotato l’inferno con la sua discesa agli inferi. Cosa succederà al momento del giudizio finale? Ci sarà un nuovo inferno per i condannati?

 

            A. B. – Nelle preghiere che leggiamo nell’ufficio dei defunti, affermiamo che Cristo ha svuotato l’inferno. L’ha reso vuoto, prima di tutto, svegliando coloro che vi dormivano dai tempi più antichi. Ma lo ha anche svuotato della sua qualità di assenza irrimediabile. In Cristo che discende agli inferi, Dio ha preso possesso non solo del “cielo” e della “terra”, ma anche dei “luoghi inferiori” nelle loro profondità più profonde. Non esiste più lo stato di separazione, non esistono più luoghi spirituali dai quali Dio sarebbe assente. Anche se Dio non può coartare la libertà di nessuno.

            Il tema del giudizio finale presenta difficoltà particolari. Spesso ce lo immaginiamo come la ripresa del giudizio personale. Ognuno di noi ricomparirà davanti a Dio, in una situazione drammatica, spettacolare, e verrà pronunciato un giudizio definitivo. Siamo tenuti a vedere così le cose? Non vi è forse una differenza molto particolare tra il giudizio personale e quello finale? Nel giudizio finale non sono le nazioni e i popoli interi che compariranno davanti al volto del Signore, alcuni con la loro gloria, tutti con la loro vergogna? D’altronde, quando il genere umano starà davanti a Dio, non ci sarà, tra gli uomini, colui che in mezzo a essi si chiama Gesù di Nazaret? Se egli è il nostro giudice, non ha anche detto che sarà il nostro avvocato? La sua croce non è forse il “giudizio dei giudizi” come diceva uno dei padri?

            Un nuovo inferno? Ma sarà un “luogo” di sofferenza per l’assenza impensabile di Dio, o il risultato paradossale della nostra assenza dalla totale presenza di Dio? Non lo so. Bisogna mantenere l’equilibrio tra giustizia e speranza. Non ci può essere un paradiso imposto per forza, perché l’amore è libertà e il paradiso è pienezza dell’amore. Ma, allo stesso tempo, la sapienza e l’amore di Dio per gli uomini sono insondabili, e noi abbiamo non soltanto il diritto ma anche il dovere di sperare tutto.

 

            D. – A che cosa è servita la morte di Cristo, visto che noi continuiamo a morire?

 

            A. B. – Sì, noi tutti moriremo. Ma morire, per il cristiano, è addormentarsi nella pace del Signore, è nascere all’eternità. Non è perire, non è superare quella barriera al di là della quale non c’è più niente, al di fuori della corruzione del corpo e della dissoluzione di ogni essere. È entrare nella vita eterna, dove ogni anima vivente conoscerà faccia a faccia il Dio vivente. Più ancora, è attendere la resurrezione. Nel Credo, infatti, noi non proclamiamo l’immortalità dell’anima, ma la “resurrezione dai morti”. Noi crediamo a questa resurrezione, l’aspettiamo. Si potrebbe dire, al limite, che noi siamo gli unici veri materialisti, perché crediamo alla possibilità per la materia di essere trasfigurata, in Dio, per l’eternità.

 

            D. – Dio ha portato la vita agli inferi. Ma colui che merita l’inferno, e già lo conosce, come può dopo la morte carnale conoscere la vita?

 

            A. B. – C’è una cosa che noi dobbiamo imparare: a sospendere il giudizio, sugli altri e su noi stessi. Quando diciamo “colui che merita l’inferno”, condanniamo qualcuno, forse noi stessi. Ci sembra di saperne abbastanza per infliggere, con un nobile giudizio, tale condanna. Abbiamo torto. Forse sappiamo abbastanza della nostra indegnità, ma non sappiamo certamente abbastanza delle vie di Dio, della sua sapienza e della sua misericordia. Dire che meritiamo l’inferno, è una frase, credo, teologicamente falsa. Ci si appropria del diritto di giudicare, diritto che spetta a Dio solo. Quanto a conoscere l’inferno, sappiamo che qualche santo ha fatto questa quest’esperienza, ma chi di noi può affermare altrettanto? Quando parliamo dell’inferno della vita umana, dell’inferno che è la nostra società, parliamo di qualcosa che non è l’inferno. L’inferno è un momento al di là del quale non c’è più niente. È una linea al di là della quale risuona la parola di Dostoevskij: “Per essere liberati, è troppo tardi”. Adesso ho capito tutto, capisco che è troppo tardi per amare, troppo tardi per agire. Invece, nella vita, non è mai troppo tardi. Finché c’è in noi un filo di respiro, c’è anche un avvenire: un gesto, una parola, un pensiero possono trasformare e trasfigurare la vita…

            Nell’aldilà, possiamo dire che sarà troppo tardi? Niente, allora, sarà più nelle nostre mani, tutto sarà nelle mani di Dio. Entrare nel mistero della morte è entrare nel mistero dell’incontro. Giacché Cristo è venuto fin nella nostra morte, non potremo non incontrarlo giunti a quel momento.

            Allora, tutto sarà possibile.

 

 

Da: ANTHONY BLOOM, Alla sera della vita, Magnano (BI), 2000, 95-99.

 

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