mercoledì 10 ottobre 2012

"Dio non è morto" di André Borrély

 
Dio non è morto!

 
 di André Borrély

 

Pascal si sarebbe forse ingannato, quando ha annunciato che Cristo “è in agonia fino alla fine del mondo”? Non è forse il Cristianesimo, piuttosto, a essere ormai in agonia, nell’attesa di un esito ineluttabile? Dio non è forse morto? Il Cristianesimo potrà sopravvivere alla sua agonia? Non è giunto il momento di applicare alla Chiesa di Cristo il lamento pronunciato su Tiro dal profeta Ezechiele: “Le tue ricchezze…, i tuoi marinai e i tuoi piloti… e tutta la turba che è a bordo della tua nave, piomberanno in fondo al mare nel giorno del tuo naufragio” (27, 27). Ebbene, no! Dio non è morto. Il Dio che ha soffiato nelle narici dell’uomo un alito di vita (Gn 2, 7), e per mezzo della Croce ha distrutto il regno della morte, il Dio vivente non può morire. Ciò che è morto è un certo numero di idoli, ossia di idee troppo umane su Dio. Che più di un confessionale sia disertato il sabato sera o nelle grandi solennità, che un certo numero di sacerdoti passino sopra i canoni ecclesiastici circa il celibato e le promesse della loro ordinazione, che numerose coppie conoscano la più grande intimità anche prima di ricevere il sacramento del matrimonio, sono fatti che non possono lasciarci indifferenti: ma non sono talmente essenziali da costringere a domandarsi seriamente se il Cristianesimo potrà sopravvivere alla crisi che sta attraversando. Cristo ha voluto che la sua Chiesa sia il campo ambiguo nel quale crescono insieme fino alla mietitura il buon grano e la zizzania (Mt 13, 24-31); ha predetto che “molti falsi profeti sorgeranno e inganneranno molti, e per il dilagare dell’iniquità l’amore di molti si raffredderà” (Mt 24, 11-12). Ma egli ha pure promesso alla sua Chiesa – fondata sulla fede apostolica nella filiazione divina del suo Signore risuscitato – che “le porte dell’inferno non prevarranno contro di essa” (Mt 16, 18). Il Salmo 92 (93), inno a Iavhè ordinatore, legislatore e sovrano del mondo, canta: “Il Signore rende saldo il mondo, che non sarà mai scosso” (v. 1); ma ciò che il salmo dice dell’universo, è tanto più vero della Chiesa: l’incrollabile solidità di questa deve farci “camminare con sicurezza nella Gloria di Dio” (Bar 5, 7) e donare la pace che viene dall’alto ai nostri cuori immersi nelle tribolazioni. Di questa solidità vorremmo tentare di indicare le radici.

Non sarà mai ripetuto abbastanza, nel nostro secolo di “umanesimo integrale”: rivelandoci Chi Egli è, il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe ci insegna chi siamo noi. La rivelazione biblica fatta all’uomo del Mistero della Trinità Santissima, è simultaneamente rivelazione dell’uomo a se stesso. Nelle prime pagine del suo Vangelo, san Giovanni, parlandoci del soggiorno di Gesù a Gerusalemme per la Pasqua, osserva con profondità “(Gesù) non aveva bisogno che qualcuno gli desse testimonianza su un altro; egli infatti sapeva quello che c’è in ogni uomo” (Gv 2, 24). Dio non è morto, e l’uomo neppure. Se la “morte di Dio” significasse qualcosa di più della morte salutare di un certo numero di idee meschine su Dio, sarebbe finita per l’uomo; poiché l’uomo non può vivere ciò che si chiama “vivere”, se il Dio vivente non lo irriga con il flusso della sua grazia. Il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo sono le arterie dell’uomo. “Quello che c’è nell’uomo”, che costituisce il fondo dell’uomo, il suo essere più essenziale, è questa capacità di essere irrigato dalla vita divina. Il problema non consiste nel sapere se il Cristianesimo sopravviverà, ma nel comprendere che l’umanità non potrebbe sopravvivere al Cristianesimo, a meno che ci si ostini a voler chiamare ancora uomini delle scimmie demonizzate.

 

Da: ANDRE BORRELY, Chi si avvicina a me s’avvicina al fuoco, Milano, 1981, 17-19.

 

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